Il festival di Woodstock del 1969, nell’immaginario collettivo, è diventato quasi una figura archetipica. A quarant’anni di distanza questi tre giorni di musica, pace e amore sono ancora circondati da miti, leggende e dicerie di ogni genere. La verità è che, per qualche misterioso motivo, il festival è cominciato al momento giusto, ha segnato una svolta tra ciò che c’era prima e quello che ci sarebbe stato poi. Una festa liberatoria, la celebrazione pagana e profondamente spiriturale di una società che chiedeva cambiamenti radicali su tutti i fronti. Il mondo che volevano i ragazzi di Woodstock, come ben sappiamo, non si sarebbe mai neppure minimamente realizzato e – per molti meschini motivi – il mito sarebbe stato ribaltato dai suoi detrattori, da quanto (allora come ora) temono il cambiamento, la diversità e tutto quello che non rientra in rigidi e paludati schemi di ordine e disciplina.
La storia delle Woodstock alternative. Al principio del 1969 John Roberts e Joel Rosenman pubblicarono un annuncio sul New York Times e sul Wall Street Journal, presentandosi come “Challenge International, Ltd.”: “Uomini giovani con capitale illimitato cercano interessanti opportunità, legali, di investimento e proposte d’affari”. Michael Lang e Artie Kornfeld , che stavano progettando uno studio di registrazione nel villaggio di Woodstock, un luogo dall’atmosfera ritirata e tranquilla, li contattarono. Presto, però, immaginarono di realizzare al suo posto un più ambizioso festival musicale e artistico. Roberts era incerto se abbandonare l’iniziativa, consolidando le perdite che aveva subito ma alla fine decise di restare nel gruppo e finanziare il festival. Woodstock era per loro un’iniziativa commerciale, che chiamarono appunto “Woodstock Ventures”, una possibilità di guadagni. Divenne una manifestazione ad ingresso libero quando gli organizzatori si accorsero che stavano attirando centinaia di migliaia di persone in più del previsto: circa 186.000 biglietti erano stati acquistati in prevendita. Nella primavera del 1969 la “Woodstock Ventures” affittò per 10.000 dollari il Mills Industrial Park, un’area di 1200 metri quadrati nella contea di Orange, dove avrebbe dovuto svolgersi il concerto. Alle autorità locali era stato assicurato che non si sarebbero radunate più di 50.000 persone, ma gli abitanti si opposero subito all’iniziativa. All’inizio di luglio fu varata una nuova legge locale, per cui sarebbe occorso un permesso speciale per ogni assemblea di più di 5.000 persone. Infine, il 15 luglio il concerto fu definitivamente vietato con la motivazione che i servizi sanitari previsti non sarebbero stati a norma.
Quella volta Hendrix suonò per dure ore. La scelta della location a questo punto divenne Bethel, nella contea di Sullivan, una cittadina rurale 69 km a sud-ovest di Woodstock. Elliot Tiber, il proprietario del motel “El Monaco” sul White Lake a Bethel, si offrì di ospitare il festival in una sua tenuta di 15 acri. Aveva già ottenuto un permesso dalla città per il “White Lake Music and Arts Festival”, che sarebbe stato un concerto di musica da camera. Quando si accorse che la sua proprietà era troppo piccola per Woodstock, Tiber presentò agli organizzatori un allevatore, Max Yasgur, che accettò di affittare loro 2400 metri quadrati per 75.000 dollari. La notizia del concerto che si preparava fu annunciata da una radio locale già prima che i promotori e Yasgur lasciassero il ristorante dove si erano accordati, fatta trapelare da alcuni lavoratori del locale. Altri 25.000 dollari furono pagati come affitto ai proprietari confinanti per ingrandire il sito del festival. Il terreno di Yasgur formava una conca naturale digradante verso lo stagno Filippini a nord. Il palco fu costruito alla base del rilievo, con lo stagno sullo sfondo che sarebbe diventato un luogo molto amato dai partecipanti, dove facevano il bagno nudi. Gli organizzatori ripeterono anche alle autorità di Bethel la loro stima di 50.000 partecipanti. Il festival di Woodstock si svolse quindi a Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, dal 15 al 18 agosto del 1969, all’apice della diffusione della cultura hippy. L’ingegnere del suono, Bill Hanley, aveva costruito sulle colline delle strutture speciali per gli altoparlanti più sedici gruppi di altoparlanti su una piattaforma quadrata, che saliva sulla collina su torri di 21 metri. Erano stati predisposti per 150-200mila ascoltatori. Ne arrivarono 500.000. Dietro il palco vi erano tre trasformatori che fornivano 2.000 ampere di corrente per alimentare l’apparato di amplificazione. Woodstock era stato ideato come un festival di provincia ma accolse inaspettatamente più di 400.000 giovani (secondo fonti non certe, addirittura un milione di persone); trentadue musicisti e gruppi, fra i più noti di allora, si alternarono sul palco. Il concerto iniziò alle 17:07 di venerdì con Richie Havens. L’intero festival doveva terminare il 17 agosto ma Jimi Hendrix che aveva insistito per essere l’ultimo ad esibirsi al festival, non salì sul palco fino alle nove del mattino di lunedì. La maggior parte degli spettatori aveva dovuto lasciare il festival e tornare alla routine dei giorni feriali, così che solo in 80.000 ascoltarono Hendrix, in una performance che fu quasi una rarità, per la durata di due ore, la più lunga nella sua carriera.
La leggenda di Woodstock. Richie Havens, dopo aver concesso ben sette bis al pubblico che continuava a chiederne, suonò un pezzo totalmente improvvisato Freedom. Suonando la sua Guild acustica si mise a ripetere “freedom”, cioè “libertà”. Country Joe McDonald non era in programma il primo giorno, ma lo fecero esibire a sorpresa senza la sua band, The Fish, perché molti artisti non erano ancora arrivati. Suonò comunque con loro il terzo giorno. Tim Hardin, nonostante una scaletta con due soli brani, fece un’esibizione della durata di un’ora. Joan Baez che nei giorni del festival era al sesto mese di gravidanza, iniziò il concerto raccontando di come il marito David Harris, obiettore di coscienza, era stato arrestato. Grateful Dead ebbero performance segnata da problemi tecnici, compresa una messa a terra difettosa, Jerry Garcia e Bob Weir presero la scossa toccando le loro chitarre. The Who iniziarono a suonare solo intorno alle quattro del mattino, per un battibecco con gli organizzatori riguardo alla paga. Il sole iniziò a sorgere mentre Roger Daltrey iniziava a cantare il coro di See me, feel me. Alla fine della loro esibizione Pete Townshend sbatté più volte la chitarra sul palco e la gettò poi al pubblico. Dopo che The Grease Band aveva eseguito alcuni brani strumentali, Joe Cocker inaugurò l’ultima giornata in programma, alle due del pomeriggio . Finita la sua performance, un temporale interruppe il concerto per molte ore. Crosby, Stills, Nash & Young fecero due esibizioni ben distinte fra loro, una acustica ed una elettrica. Neil Young nella performance acustica eseguì solo le sue Mr. Soul e Wonderin’ mentre partecipò per intero a quella elettrica rifiutando però di essere filmato, dicendo che la registrazione avrebbe distratto sia gli artisti sia il pubblico dalla musica. Jimi Hendrix, ultimo ad esibirsi per sua espressa volontà, dopo che la sua band era stata presentata come The Jimi Hendrix Experience, ne corresse il nome con Gypsy Sun and Rainbows, nuovo nome del gruppo. Durante l’esecuzione del quarto brano Red house, la corda del mi cantino della sua chitarra si ruppe, ma lui continuò a suonarla con cinque corde. Gypsy woman/Aware of love scritte da Curtis Mayfield, furono cantate insieme da Larry Lee come un medley. The star-spangled banner, la famosa cover dell’inno degli Stati Uniti, fu eseguita da Hendrix con forza e suoni stranianti per fare intendere la sua protesta per la violenza delle politiche degli Usa, nella guerra in Vietnam e negli scontri sociali.
[fonte: Blog and Roll]