Le Scuderie del Quirinale ospitano, fino al 1 giugno, la mostra Tintoretto. «Il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura», così Giorgio Vasari ritrasse colui che per primo riuscì, nella Venezia di pieno Cinquecento, ad allontanarsi dal mito di Tiziano proponendo una pittura che, evitando i consueti canoni della bellezza veneziana, impose una linea di forte e nitido realismo capace di fare scuola per diverse generazioni d’artisti. Tensione drammatica, furore michelangiolesco, attenzione agli aspetti scenografici e alle proposte del teatro e dell’architettura oltre a una formidabile capacità di assimilazione delle novità e delle idee impostate dai grandi contemporanei: Tintoretto creò una pittura di tocco e di esasperato colorismo per narrare ogni aspetto della miseria umana con partecipata commozione, mirando a un’espressività che, nella ritrattistica, divenne una ricerca di verità in grado di travalicare la stessa caratterizzazione fisionomica e psicologica del personaggio ritratto.
Una poetica nuova e sorprendente per i tempi, dunque, che le Scuderie del Quirinale di Roma si propongono di narrare compiutamente in un percorso che toccherà tutti i generi in cui il maestro veneziano si è cimentato: dai grandi teleri religiosi, alle opere profane, alla ritrattistica.
Nei due piani espositivi delle Scuderie, la mostra si svilupperà seguendo una precisa narrazione biografica: accompagnati dalle parole di Melania G. Mazzucco, scrittrice che, con i suoi studi e le densissime pagine di romanzi ha ricostruito l’ambiente di Jacomo Robusti – il cui soprannome Tintoretto deriva dall’essere il padre tintore di panni – il visitatore potrà penetrare nei meccanismi creativi di uno dei protagonisti della pittura europea. Colui che, nella parole di Ernst Gombrich, portò a compimento l’era aperta da Giotto che «per primo dipinse corpi tangibili, e che tale era terminò quando alle forme solide si sostituirono le apparizioni fiammanti del Tintoretto o del Greco». Poiché Tintoretto riuscì, nelle enormi dimensioni dei suoi teleri, a creare palcoscenici ove raggruppare in profondità figure tormentate, lunghe e sinuose, salde nel loro risalto plastico, narrate in composizioni ricche di arditi scorci esaltati da un uso della luce assolutamente nuovo e spettacolare.
Teatralità, gigantismo, arditezza. Tutto questo si potrà apprezzare appieno in una mostra che ha avuto, grazie al fondamentale sostegno dei maggiori musei del mondo, una serie di prestiti eccezionali. Tanto da aprirsi il primo piano espositivo con quell’icona della modernità rappresentata dal Miracolo dello schiavo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: una scena di crudo realismo, quasi sovrannaturale nell’immagine di San Marco che scende in carne e ossa a liberare lo schiavo che per sua devozione subiva il martirio. Nelle monumentali dimensioni di quasi cinque metri per lato si ravvisa una perfetta regia del miracolo sottolineata da una luce irreale, tale da inondare la scena e fissare i personaggi, colti negli atteggiamenti più svariati. In uno scorcio prospettico che già preannuncia l’arte di Caravaggio.
A quest’opera, significativamente posta nella prima sala a introdurre e riassumere il percorso artistico di Tintoretto, seguiranno le principali committenze ecclesiastiche, in un racconto che evidenzierà la strettissima connessione tra il pittore e la sua città, Venezia. Si ammireranno tra gli altri Il ritrovamento del corpo di San Marco compiuto per la Scuola Grande di San Marco e le magnifiche tele raffiguranti Santa Maria Egiziaca in meditazione e Santa Maria Maddalena leggente della Scuola Grande di San Rocco, restaurate in occasione della mostra, così come importanti interventi di tutela sono stati effettuati su alcune teleri delle chiese veneziane, come da tradizione consolidata per le mostre delle Scuderie. Tra questi, spiccherà in mostra il serrato confronto tra le due versioni dell’Ultima cena provenienti dalle chiese di San Polo e di San Trovaso: fra le più impressionanti e famose. La prima reduce da un importante lavoro di restauro finanziato da Cariparma e curato da Giulio Manieri Elia, Direttore del Museo di Palazzo Grimani e Vicedirettore delle Gallerie dell’Accademia.
Al secondo piano, alla pittura religiosa di temi devozionali e dimensioni più contenute si accompagneranno alcuni tra i massimi capolavori della ritrattistica tintorettesca e della pittura profana con prestiti di assoluta eccezionalità quali il malinconico e galante Venere, Vulcano e Marte dell’Alte Pinakothek di Monaco o, tra le storie bibliche, la versione viennese della Susanna e i vecchioni, ove la fanciulla è raffigurata in tutto lo splendore della sua bellezza e luminosità che si accompagna all’amorevole minuzia con cui il maestro veneziano descrive i mille particolari della scena. La mostra, che raccoglierà una cinquantina di opere scelte per la loro rappresentatività a comporre un racconto visivo capace di illustrare l’eccezionalità dell’universo pittorico del grande maestro veneziano, sarà arricchita da una sezione straordinaria per raccontare anche il mondo artistico con cui Tintoretto si confronta e che con lui, a sua volta, si misura, a partire dal dibattuto rapporto con il grande Tiziano rappresentato dalla grande Pala con l’Annunciazione della chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Qui, opere di maestri di area veneta (e non solo, come nel caso dell’olandese Lambert Sustris che si formò a Venezia tra Tiziano e Tintoretto ed El Greco, spagnolo ma di origine cretese, trasferito a Venezia), da Schiavone a Paolo Veronese, a Parmigianino, Jacopo Bassano o il meno conosciuto Giovanni Demio.
Tintoretto
a cura di Vittorio Sgarbi
Commissario generale: Giovanni Morello
Coordinamento scientifico: Giovanni C.F. Villa
Testi in mostra: Melania G. Mazzucco
Scuderie del Quirinale – via XXIV Maggio 16, Roma
fino al 10 giugno 2012