Alle 16:37 del 12 Dicembre 1969 una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, nel centro di Milano, provocando la morte di diciassette persone ed il ferimento di altre ottantotto. E’ la strage di Piazza Fontana. Per la sua gravità e rilevanza politica, tale strage ha assunto un rilievo storico primario venendo convenzionalmente indicata quale primo, feroce atto della cosidetta Strategia della Tensione.
Una seconda bomba fu rinvenuta nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, fortunatamente inesplosa, furono fatti i rilievi previsti, e successivamente fu fatta brillare distruggendo in tal modo elementi probatori di possibile importanza per risalire all’origine dell’esplosivo e a chi avesse preparato gli ordigni.
Una terza bomba esplose a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collegava l’entrata di via Veneto con quella di via di San Basilio della Banca Nazionale del Lavoro, facendo tredici feriti. Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del museo del Risorgimento, in piazza Venezia, facendo quattro feriti.
Si contarono dunque cinque attentati terroristici nel pomeriggio dello stesso giorno, concentrati, tra il primo e l’ultimo, in un lasso di tempo di soli 53 minuti, a colpire contemporaneamente le due maggiori città d’Italia, Roma e Milano.
Periodo storico
Il periodo storico è quello della contestazione studentesca e segna l’inizio della strategia della tensione: tra il 1968 e il 1974 verranno compiuti 140 attentati. La situazione politica precedente e culminante con la strage ha molte similitudini con la fase preparatoria in Grecia del colpo di stato del 1967. Quello di Piazza Fontana è uno dei più gravi; verrà ricordato insieme alla strage di Bologna come uno dei peggiori eventi della storia italiana postbellica.
Le indagini
Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti, furono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare degli anarchici del Circolo anarchico 22 Marzo.
Il 12 dicembre l’anarchico Giuseppe Pinelli viene fermato e interrogato a lungo in Questura ed il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. Le cause della morte di Pinelli non verranno mai del tutto chiarite. Il 16 dicembre viene arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda, indicato dal tassista Rolandi come l’uomo che era sceso quel pomeriggio dal suo taxi in piazza Fontana recando con sé una grossa valigia: il giorno dopo il Corriere della sera titolò che “il mostro” era stato catturato, ed il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat indirizzò un assai discusso messaggio di congratulazioni al questore di Milano Guida avvalorando implicitamente la pista da lui seguita.
Lo stesso PCI pare fosse convinto che l’attentato fosse stato opera degli anarchici; lo ricorderà Bettino Craxi nel 1993, sostenendo che il principale teste d’accusa contro Valpreda, il tassista Rolandi, era iscritto al partito e questo avvalorò la sua deposizione tra molti esponenti del PCI. Sul punto, in realtà, c’è scarsa chiarezza. In data 19 dicembre 1969 , Sergio Camillo Segre ad una riunione del Pci, presente Berlinguer riferisce che Guido Calvi – allora avvocato d’ufficio di Valpreda ed iscritto allo Psiup, oggi senatore DS – aveva svolto una sua indagine tra gli anarchici; Segre riporta quanto dettogli da Calvi: L’impressione è che Valpreda può averlo fatto benissimo. Gli amici hanno detto: dal nostro gruppo sono stati fatti attentati precedenti. Ci sono contatti internazionali. Valpreda ha fatto viaggi in Francia, Inghilterra, Germania occidentale. Altri hanno fatto viaggi in Grecia. Alle spalle cosa c’è? L’esplosivo costa 800 mila lire e c’è uno che fornisce i quattrini. I nomi vengono fatti circolare. Eppure agli atti processuali risulta che Guido Calvi – chiamato a svolgere funzioni di avvocato d’ufficio di Valpreda a Roma nel confronto tra Valpreda ed il tassista Rolandi richiese se Rolandi avesse mai visto prima un’immagine dell’imputato, e ne ebbe la risposta che una sua fotografia gli era stata mostrata alla Questura di Milano nel corso della sua deposizione del giorno prima. La prassi prevede che nei casi di pluralità di persone possibili, attori del fatto indagato, eventuali testimoni, sfoglino le foto segnaletiche a disposizione delle forze dell’ordine; il codice di procedura penale attuale, (anno 2007), però, prevede che quando il sospetto assuma la veste di indagato – e Valpreda già lo era – egli abbia il diritto di presenziare alla maturazione delle prove a suo carico, mediante il contraddittorio (cioè un confronto con l’accusatore), mentre procedere ad influenzare il testimone con una disamina “mirata” vìola il principio del contraddittorio.
Successive indagini e processi
Le indagini e i processi (sette) si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra; tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni vedranno condanne per altre stragi, e altri si gioveranno della prescrizione). Alcuni esponenti dei servizi segreti verranno condannati per depistaggi. In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage. Il 3 maggio 2005 sono stati assolti definitivamente gli ultimi indagati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto. Dopo 38 anni, la morte di Pinelli è ancora oggetto di discussione.
Il caso Calabresi
A seguito della tragica morte di Pinelli, il commissario Luigi Calabresi, incaricato delle indagini e presente in questura mentre Pinelli presumibilmente si gettava dalla finestra, sarà oggetto di una dura campagna di stampa, petizioni e minacce da parte di gruppi di estrema sinistra e di fiancheggiatori, che ebbero il risultato di isolarlo e renderlo vulnerabile.
In questo modo, fu facile colpirlo: il 17 maggio 1972, le minacce culminarono con il suo assassinio da militanti di estrema sinistra membri di Lotta Continua. Gli autori della campagna di stampa saranno condannati anni dopo la sua morte, ed anche i suoi assassini verranno identificati e condannati in via definitiva vari anni dopo. L’assassinio del commissario creò una certa indecisione sulle direzione da dare alle indagini.
L’inchiesta delle Brigate Rosse
Sulla strage anche le Brigate Rosse svolgeranno una loro inchiesta, che venne rinvenuta, insieme ad altri materiali riguardanti gli avvenimenti politici e terroristici relativi agli anni ’60 e ’70, il 15 ottobre 1974 in un loro covo a Robbiano di Mediglia. La parte del materiale sequestrato che riguardava Piazza Fontana fu solo minimamente messo a disposizione dei magistrati che si occupavano dei fatti interessati, indebolendo così le indagini sulla Strage, e scomparve, e di questo parte fu forse distrutto nel 1992. Per quello che riguardava la strage di piazza Fontana l’indagine delle BR (che originariamente comprendeva, tra le altre cose, un’intervista a Liliano Paolucci, colui che aveva raccolto la testimonianza di Cornelio Rolandi e l’aveva convinto a parlare ai carabinieri e delle interviste di alcuni dirigenti del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa), ricostruita in base alle relazioni sul materiale stilate al tempo dai carabinieri, da parte del materiale recuperato e le testimonianze di un brigatista pentito, arrivò a conclusioni in parte differenti dalle ricostruzioni che si faranno nella lunga storia dei processi: secondo questa indagine l’attentato era stato organizzato materialmente dagli anarchici (che avevano in mente un atto dimostrativo, solo per un errore nella valutazione dell’orario di chiusura della banca divenuto una strage), impiegando esplosivo, timer e inneschi fornitogli da un gruppo di estrema destra. Pinelli, sempre secondo questa ricostruzione, si sarebbe realmente suicidato perché sarebbe rimasto coinvolto involontariamente nel traffico di esplosivo poi utilizzato per la strage. Le Brigate Rosse mantennero segreti i risultati della loro inchiesta, per motivi di opportunità politica. Essa fu riportata alla luce casualmente, dopo anni di oscuramento, dalla Commissione Stragi ma solo parzialmente. La maggior parte dei documenti dell’inchiesta condotta dalle Brigate Rosse su Piazza Fontana erano intanto misteriosamente scomparsi da tutti gli archivi di tutte le autorità indaganti, senza eccezioni. I documenti riguardanti altri fatti furono invece reperibili, solo quelli di Piazza Fontana non furono rintracciabili in nessun modo.
Affermazioni riferite ad Aldo Moro durante la prigionia da parte delle Brigate Rosse
Nel Memoriale Moro compilato dalle Brigate Rosse deducendolo dall’interrogatorio cui lo sottoposero durante la prigionia, Aldo Moro avrebbe indicato come probabili responsabili della strage, così come in generale della strategia della tensione, rami deviati del SID (il servizio segreto), in cui si erano insediati negli anni diversi esponenti legati alla destra, con possibili influenze dall’estero, mentre gli esecutori materiali erano da ricercarsi nella pista nera.
Le manifestazioni
Negli anni numerose manifestazioni si sono svolte e si svolgeranno in ricordo della strage di piazza Fontana e di Giuseppe Pinelli, l’anarchico morto dopo un volo dal quarto piano avvenuto in circostanze mai chiarite, durante un interrogatorio di polizia nella stanza del commissario Calabresi, tre giorni dopo la strage. Diverse di tali iniziative sono degenerate in scontri tra polizia e manifestanti. Ancora oggi è attiva la contestazione, motivo ricorrente negli ambienti di sinistra milanesi e non solo. Le manifestazioni che si svolgono ogni 12 dicembre per ricordare la strage e il 15 dicembre per commemorare Pinelli, sono diventate un appuntamento ricorrente per la città di Milano.
Il caso Pinelli
Per chiarire le circostanze nelle quali si svolse la morte di Giuseppe Pinelli venne avviata un’inchiesta. La Questura di Milano affermò in un primo tempo che Pinelli si suicidò perché era stato dimostrato il coinvolgimento nella strage, ma questa versione fu smentita nei giorni successivi. Il fermo di Pinelli era illegale perché egli era stato trattenuto troppo a lungo in questura: il 15 dicembre 1969 (la data della sua morte) egli avrebbe dovuto essere libero, oppure in prigione, ma non in questura, infatti il fermo di polizia poteva durare al massimo due giorni. In un primo momento lo stesso questore Marcello Guida dichiarò alla stampa che il “suicidio” di Pinelli era la dimostrazione della sua colpevolezza, ma questa versione fu poi ritrattata quando l’alibi di Pinelli si rivelò credibile. La versione ufficiale della caduta venne fortemente criticata dagli ambienti anarchici e da parte della stampa, per via di alcune incongruenze nella descrizione dei fatti e per il fatto che gli stessi agenti presenti diedero via via versioni contrastanti dell’accaduto.
La sentenza dell’inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli fu emessa il 25 ottobre 1975. Il dottor Onorevole d’Ambrosio scrisse nella sentenza: “L’istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli”.
Dichiarazioni di Pasquale Valitutti
Tuttavia Pasquale Valitutti, un anarchico che era stato fermato insieme a Pinelli, affermò sempre che egli si trovava in una stanza attigua a quella in cui stava avvenendo l’interrogatorio di Pinelli e che dalla stanza non uscì mai nessuno; disse, inoltre, che dopo la caduta di Pinelli venne prelevato da due agenti che gli comunicarono che l’anarchico si era buttato e venne portato a San Vittore e rilasciato il giorno dopo (anche per lui era scaduto il tempo del fermo) senza essere stato interrogato. Quest’ultima testimonianza, che metteva in dubbio le conclusioni dell’inchiesta della magistratura, venne ovviamente considerata credibile dai gruppi che ritenevano la morte di Pinelli causata dal tentativo di trovare un capro espiatorio per gli attentati. Valitutti sostenne anche di aver visto e di aver parlato alcune volte con Pinelli durante i due giorni, trovandolo provato per gli interrogatori e per la mancanza di sonno (sarebbe stato tenuto appositamente sveglio), sostenendo che Pinelli aveva anche affermato che il suo alibi non veniva creduto.
Le vittime
Lapide commemorativa delle vittime dell’attentato, apposta nel decimo anniversario della strage.I nomi degli assassinati dalla bomba di piazza Fontana sono: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè, Gerolamo Papetti.
Fonte: wikipedia