Secondo il Mext, l’equivalente giapponese del nostro ministero della pubblica istruzione, nel 2015 i fondi per le scuole ammontavano a circa 5,5% del budget totale del governo giapponese.
Questi soldi sono serviti anche per ammodernare o adattare gli edifici scolastici. In Giappone una scuola che ha più di trent’anni è considerata vecchia e va sistemata. Ogni plesso scolastico deve prevedere anche palestre, piscine, sale per le riunioni e aule per attività collaterali legate all’istruzione. La scuola deve avere un ruolo aggregante per la comunità.
Queste norme valgono sia per le scuole pubbliche che per le private. Sarebbe impensabile per i giapponesi far studiare i propri figli in un edificio del 800 non climatizzato, non attrezzato per l’educazione fisica o privo di laboratori e aule tecniche. In Italia invece questa è la norma.
Si è scaricato tutto sulle province
In Italia sono le province ad avere la responsabilità della gestione e della manutenzione degli edifici scolastici. Questo onere è stato delegato dallo Stato centrale alle provincie nel 1998. Poi però l’importanza delle provincie è stata ripensata e, stando agli ultimi sviluppi (sulla carta), in molti casi sono queste destinate a scomparire. È la schizofrenia dell’Italia che non riesce nemmeno a decidere su che forma amministrativa darsi. E delle scuole chi se ne occupa? Nessuno lo sa. Le provincie forse, perlomeno finché avranno fondi che già non hanno più.
Per quanto riguarda l’edilizia scolastica lo Stato ha disposto che le province creassero un’anagrafe (forse) elettronica di tutte le strutture esistenti così da poter gestire meglio ogni intervento. L’anagrafe dal 1998 non è mai stato completato. Nessuno è in grado di dire a che punto sia la sua compilazione. Nel frattempo ci sono state riforme sui contenuti della scuola, ma si è perso di vista il “contenitore scuola” che cade a pezzi. Il governo Renzi aveva promesso di rilanciare l’edilizia scolastica. Poi però ci sono state altre priorità, tipo la legge elettorale, e la questione è finita nel dimenticatoio. Ora è sparita dall’orizzonte.
La cronaca ci ha informato a dovere sul fatto che gli edifici scolastici non sono adeguati ai più moderni criteri antisismici. In molti casi questi edifici hanno piani di evacuazione redatti giusto perché è obbligatorio e che, nella realtà, pochi saprebbero seguire. Il compito di tenere in piedi un edificio che crolla a pezzi grava tutta sulle spalle delle famiglie italiane e del personale docente e non docente impiegato nelle scuole. Lo Stato, ancora una volta, fa il pesce in barile.
La scuola secondo gli italiani
[tw-column width=”one-half”]L’edificio scolastico è, per gli italiani, un palazzo più o meno storico, magari nato per contenere un distaccamento militare, riadattato a scuola. Oppure, in alternativa, un orrore di cemento e linoleum costruito negli anni 60 che appare più fatiscente del palazzo storico.
Le aule sono stanzoni polverosi con una lavagna (ora, a spregio, elettronica), banchi e sedie che non rispettano alcun criterio di ergonomia. Le aule sono male illuminate e del riscaldamento meglio non parlare. Reti Intranet o Internet? Fantascienza. Magari se qualcuno nell’istituto ne capisce qualcosa si può tentare mettere in piedi qualcosa. Spesso non esistono, nella stragrande maggioranza dei casi, servizi di accesso o di altro genere per i disabili.
Il design dove è finito? La cultura della progettazione del bello e funzionale che ha reso famoso il nostro Paese nel mondo nella scuola non esiste. Proprio dove sarebbe più necessario concentrare lo sforzo maggiore per educare i giovani a riconoscere l’utile e il bello anche nelle cose che li circondano questo sforzo non c’è. Chi dovrebbe farlo? Non si sa. Forse le province, forse lo Stato, forse gli insegnanti, forse i presidi. Se ci si concentra un istante non è difficile sentire la voce del capitano che ordina alla ciurma: «facite ammuina»![/tw-column]
[tw-column width=”one-half” position=”last”]
Ma la scuola italiana non è sempre stata in pessime condizioni. Anzi, è stata all’avanguardia nel mondo. Un esempio concreto ci viene dal 1907 quando è nato “metodo di insegnamento Montessori” che prende il nome dalla sua iniziatrice Maria Montessori.
Il metodo Montessori, in aperto contrasti con il modello di scuola diffuso all’inizio del 900 che prevedeva l’imposizione della disciplina e forme di coercizione più o meno violente, si basa sull’indipendenza, sulla libertà di scelta del proprio percorso educativo e sul rispetto per il naturale sviluppo fisico, psicologico e sociale del bambino. Questo metodo educativo è ancora oggi un modello adottato in tutto il mondo. Che ne è stato della capacità della scuola italiana di innovare? Forse vittima anch’essa dei tagli.[/tw-column]
Le dotazioni scolastiche, gli arredi i suppellettili, tutto quanto il comparto che aveva come unico cliente la scuola pubblica è in crisi nera almeno dal 2004. I continui tagli hanno ridotto all’osso ogni cosa. Questa è la scuola perfetta per formare cittadini che se ne fregano di quello Stato che se ne è fregato di loro. Se lo Stato non rispetta le leggi che si è dato, perché dovrebbero farlo loro?
L’Unione Europea che fa?
Qual è la posizione della UE riguardo i sistemi di istruzione nei vari Pesi membri? Questa: «I Paesi dell’UE sono responsabili dei propri sistemi educativi e formativi. L’UE ha una funzione di supporto: fissa obiettivi comuni e favorisce lo scambio di buone pratiche».Il golem burocratico a cui siamo abituati, quello che a parole vorrebbe diventare patria di tutti gli europei e poi perde tempo a determinare le dimensioni dei cetrioli e a normare qualunque cretinata, riguardo alla scuola si tira indietro. Ogni Paese faccia da solo. Si rispetta l’autonomia, oppure si fa come Ponzio Pilato? Ci si lamenta della mancata nascita di un’Europa dei popoli e poi la UE si disinteressa della formazione dei sui futuri cittadini. Abbiamo una moneta comune, ma 28 tipi di scuola diversi e titoli di studio che vanno comparati secondo complicate tabelle. Perché non tentare di armonizzare l’istruzione in tutta l’Unione in modo che sia uguale per tutti da Helsinki ad Atene?
A queste latitudini vorremmo vedere più Europa e non meno, come tanti scriteriati consigliano. Anzi, arriviamo al punto di dire che una riflessione come questa non avrebbe nemmeno se non in un contesto europeo perché è evidente che lo Stato italiano sull’istruzione pubblica ha fallito e che non è più in grado di gestirla da solo. Qui sì, più che nelle questioni finanziarie, andrebbe invocato l’intervento della UE. Anzi, andrebbe preteso. Esistono “bazooka” europei pronti a sparare denaro per salvare le banca, ma non c’è nemmeno una scacciacani pronta a fare fuoco per una scuola dignitosa.
Se ti sta a cuore la scuola devi far sentire la tua voce
Al termine di questo articolo va fatta una precisazione: questo articolo non è stato scritto per lamentarsi della scuola italiana e poi voltare pagina. Quello si può fare tranquillamente al bar o nei gruppi di WhatsApp di genitori e insegnanti. L’ambizione di questo articolo è quella di dare qualche suggerimento ai legislatori presenti e futuri sul come riformare l’edilizia scolastica (per ora ci limitiamo a quello). Quindi questo è il luogo dove dare suggerimenti.
Che norme edilizie andrebbero imposte ai futuri costruttori? Che strutture dovrebbero avere le scuole del futuro? Quali dotazioni? Chi può suggerire come andrebbero costruite e ricostruite le scuole? In primo luogo i tecnici, architetti e ingegneri, che conoscono la materia e sanno come destreggiarsi nel difficile compito di realizzare strutture pubbliche efficienti, economiche e anche belle. Poi ovviamente aspettiamo suggerimenti da tutti quelli che con il mondo della scuola hanno a che fare per lavoro o perché la frequentano in qualità di genitori o studenti. Lo spazio per i commenti qui sotto è libero e aperto a tutti (anche in forma anonima).