Vi proponiamo una breve storia della Resistenza, utile a far ricordare ai più smemorati quando e perché è nata la Repubblica Italiana.
Cos’è la resistenza?
Nel corso della seconda guerra mondiale, la Resistenza italiana (chiamata anche Resistenza partigiana o più semplicemente Resistenza) sorse dall’impegno comune delle ricostituite forze armate del Regno del Sud, di liberi individui, partiti e movimenti che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la conseguente invasione dell’Italia da parte della Germania nazista, si opposero – militarmente o anche solo politicamente – agli occupanti e alla Repubblica Sociale Italiana, fondata da Benito Mussolini sul territorio controllato dalle truppe germaniche.
Il movimento resistenziale – inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all’occupazione nazista – fu caratterizzato in Italia dall’impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici). I partiti animatori della Resistenza, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra. La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della Repubblica italiana. Infatti, l’Assemblea costituente, eletta il 2 Giugno 1946 contestualmente allo svolgimento del referendum istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti del CLN (PCI, PSIUP, DC) che, in tale veste, elaborarono la Costituzione, ispirata ai princìpi della democrazia e dell’antifascismo.
Alla Resistenza presero parte gruppi organizzati e spontanei di diverse estrazioni politiche, uniti nel comune intento di opporsi militarmente (ove possibile collaborando con le truppe alleate) e politicamente al governo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) e degli occupanti nazisti tedeschi. Ne scaturì la “guerra partigiana”, conclusasi il 25 aprile 1945, quando l’insurrezione armata proclamata dal Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia (CLNAI) consentì di prendere il controllo di quasi tutte le città del nord del paese. Era l’ultima parte di territorio italiano ancora occupata dalle truppe tedesche in ritirata verso la Germania e soggetta all’azione repressiva delle formazioni repubblichine della Repubblica Sociale Italiana cui il movimento partigiano opponeva la propria resistenza. La resa incondizionata dell’esercito tedesco si ebbe il 29 aprile, anche se in alcune città come Genova le forze tedesche si erano già arrese alle milizie partigiane nei giorni precedenti.
Per estensione, viene da taluni chiamato “Resistenza” anche il periodo che va dagli anni trenta (in cui presero vita i primi movimenti) alla fine della guerra, inglobando nel concetto di resistenza ogni forma di opposizione alla dittatura di Benito Mussolini. Si potrebbe affermare addirittura l’esistenza di un movimento resistenziale ante litteram consistente nell’opposizione anche armata all’ascesa del fascismo e alle violenze squadriste, tentata negli anni venti in particolare dalle forze di sinistra (socialisti, comunisti, anarchici, sindacati).
Una lotta per le libertà fondamentali. Dopo l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924) e la decisa assunzione di responsabilità da parte di Mussolini, l’Italia si incammina verso un regime dittatoriale. Il sempre maggiore controllo e le persecuzioni degli oppositori, a rischio di carcerazione e di confino, spinge l’opposizione ad organizzarsi in clandestinità in Italia e all’estero, creando una rudimentale rete di collegamenti e gettando le basi per una struttura operativa potenzialmente armabile.
Le attività clandestine tuttavia non producono risultati di rilievo, restando frammentate in piccoli gruppi non coordinati, incapaci di attaccare o almeno di minacciare il regime se si esclude qualche attentato realizzato in particolare dagli anarchici. La loro attività si limitava al versante ideologico: era copiosa la produzione di scritti, in particolare tra la comunità degli esuli antifascisti, che però di rado raggiungevano le masse. Le uniche forze che mantengono una pur labile struttura clandestina in patria sono quelle legate ai comunisti.
Solo la guerra, e in particolare lo sfascio dello Stato innescato dai fatti dell’estate del 1943, offre ai clandestini l’occasione di entrare in contatto (magari immediato) fra loro, in ciò aiutati talvolta dalle forze angloamericane che ne compresero la strategica importanza per le sorti del conflitto e che provvidero ad armarle e aiutarle anche per gli aspetti logistici. Gli esponenti della Resistenza comprendevano allora i militanti dei partiti di sinistra, i repubblicani e i popolari che erano stati perseguitati dal fascismo all’inizio degli anni venti e altre forze di carattere liberale che erano state defenestrate col consolidamento del regime dittatoriale.
La liberazione
Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome, fu successivamente principalmente organizzato dal Comitato di liberazione nazionale (CLN), diviso in CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) con sede nella Milano occupata e il CLNC (Comitato di Liberazione Nazionale Centrale). Il CLNAI, presieduto da 1943 al 1945 da Alfredo Pizzoni, coordinò la lotta armata nell’Italia occupata, condotta da brigate e divisioni, quali le Brigate Garibaldi, costituite su iniziativa del partito comunista, le Brigate Matteotti, legate al partito socialista, le Brigate Giustizia e Libertà, legate al Partito d’Azione, le Brigate Autonome, composte principalmente di ex-militari e prive di rappresentanza politica, talvolta simpatizzanti per la monarchia e spesso legate ad idee imperialiste, riportate come badogliani, ma talvolta anche dichiaratamente apartitiche come l’XI Zona Patrioti guidata dal Comandante Manrico Ducceschi (“Pippo”).
Al di fuori del controllo del CNL e dei partiti che vi si riconoscevano, agirono altri piccoli gruppi partigiani, come i trockijsti di Bandiera Rossa Roma, di cui ben 68 appartenenti vennero fucilati alle Fosse Ardeatine. Specialmente nel periodo dall’8 settembre 1943 (data della proclamazione dell’ armistizio e conseguente proclama Badoglio) al 25 aprile 1945 il territorio italiano occupato dai nazisti visse una vera e propria guerra nelle retrovie. L’azione della Resistenza italiana come guerra patriottica di liberazione dall’occupazione tedesca, implicava anche la lotta armata contro i fascisti e gli aderenti alla RSI che sostenevano gli occupanti.
Ad essere coinvolti in quella che viene anche chiamata guerra partigiana, si calcola siano stati dalle poche migliaia nell’autunno del 1943 fino ai circa 300.000 dell’aprile del 1945 gli uomini armati che, specialmente nelle zone montuose del centro-nord del Paese, svolsero attività di guerriglia e controllo del territorio che via via veniva liberato dai nazifascisti. Nell’Italia centro-meridionale il movimento partigiano non ebbe altrettanta crucialità militare, sebbene nelle aree conquistate dagli Alleati nella loro avanzata verso settentrione si riunissero i principali esponenti politici che da lontano coordinavano le azioni militari partigiane, insieme alle armate alleate. Infatti l’esercito anglo-americano aveva sospinto sulla linea Gustav già dal 12 ottobre 1943 le forze tedesche che risalivano verso il nord.
Con mezza penisola liberata e la restante parte ancora da liberare, con violente tensioni sociali ed importanti scioperi operai che già nella primavera del 1944 avevano paralizzato le maggiori città industriali (Milano, Torino e Genova), le popolazioni del nord Italia si preparavano a trascorrere l’inverno più lungo e più duro, quello del 1945. Sulle montagne della Valsesia, sulle colline delle Langhe e sulle asperità dell’Appennino Ligure le formazioni partigiane erano ormai pronte a combattere.
I GAP e le SAP: ovvero il 25 Aprile. Nelle città cominciarono a costituirsi nuclei partigiani clandestini denominati GAP (Gruppi di azione patriottica) formati ognuno da pochi elementi pronti a svolgere azioni di sabotaggio e di guerriglia nonché di propaganda politica. Accanto ad essi, nei principali centri urbani sorsero all’interno delle fabbriche le SAP (Squadre di azione patriottica), ampi gruppi di sostegno alle formazioni partigiane belligeranti, con l’obiettivo specifico di rendere più ampia possibile la partecipazione popolare al momento insurrezionale. Attriti sorsero, però, a questo punto su quale sarebbe stato per il movimento partigiano l’interlocutore privilegiato, politico o militare che fosse, italiano oppure alleato.
Sotto questo aspetto a poco era servita la militarizzazione “ufficiale” dei partigiani, avvenuta nel giugno 1944 con l’istituzione – riconosciuta sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale – del Corpo volontari della libertà (o Corpo italiano di liberazione, CIL). A capo dei circa 200 mila combattenti che formavano il nuovo esercito italiano era stato posto il generale Raffaele Cadorna Jr, con vicecomandanti l’esponente del Partito Comunista Italiano Luigi Longo e quello del Partito d’Azione Ferruccio Parri).
Mentre si cominciava comunque a guardare al futuro, un altro punto di contrasto era costituito, appunto, da quello che sarebbe accaduto nel dopoguerra, che veniva avvertito ormai come prossimo. Se da un lato la guerra di liberazione accomunava diverse forze politiche, sia pure nella clandestinità e nella diversità ideologica, l’obiettivo successivo – la nuova Italia – era fonte di divergenza: i partiti della sinistra – peraltro divisi al loro interno – paventavano particolarmente un ripristino dello stato liberale prefascista; dal canto suo, il Partito d’Azione sosteneva la necessità che alle organizzazioni partigiane venisse attribuito un ruolo di rilievo nell’edificazione di una nuova democrazia in grado di sovvertire il vecchio ordinamento monarchico. La monarchia, del resto, continuava ad essere sostenuta anche dai gruppi partigiani che si riconoscevano nell’ala democratico-cristiana, liberale ed autonoma, oltre che dai soldati dell’esercito che non avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana.
Il 19 aprile, mentre gli Alleati dilagavano nella valle del Po, i partigiani su ordine del CLN diedero il via all’insurrezione generale. Dalle montagne, i partigiani confluirono verso i centri urbani del Nord Italia, occupando fabbriche, prefetture e caserme. Mentre avveniva ciò, le formazioni fasciste si sbandavano e le truppe tedesche allo sfacelo battevano in ritirata. Si consumava il disfacimento delle truppe nazifasciste, che davano segni di cedimento già dall’inizio del 1945 e i cui vertici si preparavano alla resa agli Alleati.
Molti centri (quali Torino, Genova e Bologna) vennero liberati ancora prima dell’arrivo degli alleati, rendendo l’avanzata di questi più rapida e meno onerosa in termini di vite e rifornimenti. In molti casi avvennero drammatici combattimenti strada per strada; i resti dell’esercito tedesco e gli ultimi irriducibili fascisti della Repubblica Sociale Italiana sparavano asserragliati in vari edifici o appostati su tetti e campanili su partigiani e civili. Tra essi e le forze partigiane avvennero talvolta vere e proprie battaglie (come a Firenze nel settembre 1944), ma solitamente la loro resistenza si ridusse a una disorganizzata guerriglia, per esempio a Parma e a Piacenza.
Il 27 aprile 1945, Mussolini, indossante la divisa di un soldato tedesco, fu catturato a Dongo, in prossimità del confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare assieme all’amante Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, fu fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo 28 aprile a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi, in piazzale Loreto a Milano, ove fu lasciato alla disponibilità della folla. In quello stesso luogo otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi di quindici partigiani uccisi.
Il 29 aprile la resistenza italiana ebbe formalmente termine, con la resa incondizionata dell’esercito tedesco, e i partigiani assunsero pieni poteri civili e militari.
Il 30 aprile 1945 il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia ebbe a commentare che Il 2 maggio il generale britannico Alexander ordinò la smobilitazione delle forze partigiane, con la consegna delle armi. L’ordine venne in generale eseguito e le armi in gran parte consegnate, in tempi diversi nei vari luoghi in dipendenza dell’avanzata dell’esercito alleato, della liberazione progressiva del territorio nazionale, e del conseguente passaggio di poteri al governo italiano.
Fonte: wikipedia