Se Umberto Eco in piena Tangentopoli definì gli anni Ottanta come il “decennio degli effetti speciali”, la mostra Reality ’80 si potrebbe immaginare come il caleidoscopio visivo dell’epoca.
La mostra – che ha chiuso i battenti il 23 di febbraio alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese a Milano – si proponeva come l’avvicendamento in libera sovrapposizione cronologica e tematica di cultura, società, spettacolo, arti, design e grafica della “Milano da bere”.
Il tipo di narrazione del progetto espositivo era quello di un intreccio continuo di storie e figure riferibili al decennio 1980-1990 all’interno di una ripartizione tematica e allestitiva costruita per frammenti monumentali e reperti tratti da eventi salienti – come l’attentato a Papa Wojtyla del 1981 e il congresso del PSI all’Ansaldo dell’89, seguito alla caduta del Muro di Berlino – affiancati da oggetti cult quali il circuito dinamico del Pac-Man nel formato Arcade tower da sala giochi e la parata eteroclita di sorprese, gadget inclusi nelle merendine della generazione dei Paninari.
Il tutto allineato lungo un asse temporale compreso fra il celeberrimo manifesto dell’amaro Ramazzotti (“Questa Milano da vivere, da amare, da godere. … Questa Milano da bere”) proveniente da uno scatto di Mario De Biasi del 1986 – esposto in mostra in vintage print – e il re-make scenico-segnico di Keith Haring per il Muro di Berlino del 1986.
Frammenti di un passato recente
All’interno di questa ricostruzione per frammenti si spaziava fra la piramide di Filippo Panseca, affiancata dalle Sculture Biodegradabili del decennio precedente che ne hanno preparato il terreno concettuale, procedendo attraverso una selezione di opere provenienti da quella fucina artistica che fu la Brown Boveri di Milano (con lavori di Stefano Arienti, Corrado Levi, Claudio Déstito, Pierluigi Pusole, e quelli di Cosimo Barna, Francesco Garbelli, Milo Sacchi tra i promotori di quell’iniziativa),e dalla speculare esperienza romana dell’ex Pastificio Cerere accostati dai dipinti in grande formato di Nathalie Du Pasquier, Salvo, Tino Stefanoni, sino a perdersi nel dedalo delle mappe segniche di Alessandro Mendini e Massimo Giacon, come nei soggetti pittorici sovrappopolati di Marco Cingolani.
In contrapposizione a questa sezione si trovava allineata in lunga parete l’imponente teoria di manifesti politici tratti dal progetto di identità visiva curato da Ettore Vitale per il Partito Socialista – primo caso di immagine coordinata elaborata per un partito politico in Italia – e da Giuliano Vittori per l’Estate Romana durante l’amministrazione di Giulio Carlo Argan e Renato Nicolini.
Oggetti (iconici) smarriti
La doppia sequenza era affiancata da una galassia di oggetti iconici del design Milan made dalla quale spiccavano: le cover di Stefano Tamburini, quelle di Giacomo (Mojetta) Spazio per Stampa Alternativa, le parodie disneyane di Massimo Mattioli con i poster di Sergio Calatroni per il ciclo Afro City, fino alle ambientazioni di Mario Convertino per Mister Fantasy e Frigidaire.
Un rilievo particolare assumono in questo contesto i nuovi pattern pervasivi degli anni ’80, dominati dall’estetica del punto, della retta, del triangolo, del piccolo segmento ripetuto, delle formine vuote disseminate casualmente ai margini di quasi tutti i manufatti grafici dell’epoca: dalle copertine di Domus (diretta da Alessandro Mendini nei primissimi anni ’80) – sostenute dalle immagini new-dada elaborate da Occhiomagico – agli impaginati di Ettore Sottsass; le cover degli LP e le musicassette – poi ampiamente imitate con l’Uniposca nelle compilation piratate su mixtape – disegnate da Mario Convertino.
Il manifesto del gruppo Alchimia
Alfabeti visivi, Re-design, Design Banale, Cosmesi, Robot Sentimentale sono poi i titoli che introducono alla esuberante e vastissima produzione del progetto multidisciplinare del gruppo Alchimia verso un design neo-moderno.
Nel manifesto teorico del gruppo, si legge: “Per noi vale l’ipotesi che debbano convivere metodi di ideazione e di produzione confusi, dove possano mescolarsi artigianato, industria, informatica, tecniche e materiali attuali e inattuali.”
In mostra trovava così cittadinanza la parata eclettica di esperimenti realizzati con materiali artigianali, di recupero, di massa, improbabili, provocatori, kitsch, spesso abbandonati allo stadio di prototipo.
Le attività emozionali, psichiche e antropologiche si espandono così nel Refettorio delle Stelline dall’arredo al libro alla didattica, sino alla video arte e al suono.
Volti, pose, tic, inflessioni comportamentali occhieggiano infine in una galleria di 50 scatti di Maria Mulas a documentare i party scintillanti degli anni del dopo-terrorismo, che anticipano la messe di documenti, memorabilia, reperti video, giornali, libri, vignette satiriche, cataloghi d’arte e display commerciali a completamento dell’allestimento, in un crescendo cromatico bubble-gum che culmina con le divise da “sfitinzia” e “gallodidio” dei Paninari.