Chi è Medea? Prima di riportare qualche breve ma necessario ragguaglio sul mito e sulle origini della celebre tragedia, comincio sull’interrogarmi preliminarmente proprio sulla figura della protagonista.
Medea è la maga, la straniera, la donna. Quest’ultima penso sia la peculiarità che maggiormente attrae e rende affascinante un personaggio ed un’opera che affonda le sue radici nella grecità per avere poi florida continuità nel mondo latino ed in quello moderno.
Personaggio del mito, figlia di Eeta, re della Colchide e di Idia, Medea è una delle figure più controverse e di maggior fascino della mitologia greca. Una donna, dicevo, i cui aspetti umani appaiono più spettacolari di quelli fantastici e in cui domina una vitalità che, come vedremo meglio nella tragedia di Euripide, diventa complessa e violenta, e che di fatto domina anche la tragedia del poeta greco. Una donna dalla psicologia terribilmente complessa in grado di compiere gesti estremi pur di affermare il suo volere e la sua forza appassionata.
E in questo senso si inquadra l’omicidio del fratello Absirto ucciso per aiutare l’amato Giasone nella celebre impresa del Vello d’oro e degli Argonauti; e l’inganno alle figlie di Pelia le quali uccisero inconsapevolmente il padre; e poi così ancora, passando alla tragedia, l’apice di quella parabola violenta culminante nell’infanticidio nei confronti dei suoi due figli.
Messa in scena la prima volta nel 431 a. C. da Euripide, la tragedia, che dal mito prende le mosse ma si innova in maniera evidente dandogli continuazione, è ambientata a Corinto dove, in breve, Medea, abbandonata da Giasone per Glauce figlia del re Creonte, si vendica dello sposo con un mantello avvelenato procurando la morte alla fanciulla e al padre di lei, e uccidendo di sua mano i propri figli, interrompendo così la discendenza dello sposo e portando a compimento la sua terribile vendetta.
Protagonista assoluta della tragedia è dunque, lampante già a partire dal titolo e dall’unità dell’opera, Medea, la cui energica passione sembra oscurare tutti gli altri personaggi; una figura emblematica dalla psicologia conflittuale in bilico tra la mostruosità e l’umanità, tra l’amore materno e la brama di vendetta e dunque l’orgoglio. Una psiche doppia che proprio in virtù di questa sua natura raddoppiata e ossimorica rivela tutta la sua modernità che fa della protagonista un archetipo di figura femminile che afferma con vigore la sua dignità di donna.
Euripide ritrae ancora una volta una vita infelice osservata da una prospettiva che alla nostra sensibilità di moderni non può non sconvolgerci proprio alla luce delle sfumature psicologiche che tanto ci rimandano alla moderna psicologia che di certo Euripide non poteva conoscere (ma quasi ce ne dà l’assurda impressione!).
Un’anima infelice e straziata da un uomo, Giasone, che nella tragedia sbiadisce e perde quell’aurea mitica divenendo l’ombra dell’eroe che era; e dunque mi si perdonerà il laconico accenno così come solo accenno alla presenza, pur ad ogni modo importante nell’economia della tragedia, della nutrice e del pedagogo che commentano e ricavano la morale. Ma Medea è l’apoteosi di una spettacolare figura femminile che prorompe nella scena avvilendo al paragone tutti gli altri presenti e dunque in questa sede, e nello spirito dell’articolo, era mia volontà esclusiva quella di farne rivivere la grandezza e la forza che ancora oggi, superando i secoli, riesce a trasmettere attraverso la carta e la rappresentazione teatrale; prima eccezionale depositaria, la tragedia di Euripide, di un mito che non morirà mai.