Internet è la nuova frontiera del giornalismo investigativo? Leggendo i risultati ottenuti da WikiLeaks sembrerebbe proprio di sì. Dal gennaio del 2007 pubblica materiale classificato e riservato proveniente (leggi trafugato) da governi o aziendale. E la cosa funziona (troppo secondo le sue “vittime”) perché mantiene rigorosamente anonime sia le fonti che gli estensori dei suoi contenuti proteggendoli da qualsiasi tipo di ritorsione. Ed è una precauzione assolutamente necessaria considerando che WikiLeaks è gestito da dissidenti del governo cinese, scienziati, attivisti, giornalisti e ha come obiettivi primari le nazioni dell’ex Unione Sovietica, dell’Africa sub-sahariana e del Medio Oriente.
1.200.000 documenti riservati attendono la pubblicazione su WikiLeaks, documenti che avranno certamente un grande impatto sulla vita delle persone e influenzeranno i media tradizionali. È già successo diverse volte in passato come quando il sito ha pubblicato sconcertanti rivelazioni sulla corruzione in Kenya. Lo scandalo più eclatante e famoso firmato WikiLeaks riguarda la gestione del campo di Guantanamo: senza il lavoro degli estensori del sito l’opinione pubblica non avrebbe mai saputo tutta la verità su quanto avveniva in quel luogo.
In molti hanno tentato di fari chiudere il sito (il primo tentativo risale al 2008 ed era stato promosso dalla banca svizzera Julius Baer, ritenutasi diffamata da documenti che l’accusavano di supportare l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco), persino il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America e la Cia. Secondo WikiLeaks la Cia avrebbe sequestrato loro diversi Pc e pedinato alcuni degli estensori del sito. La denuncia è stata diffusa con un tweet: gli Stati Uniti – secondo WikiLeaks – volevano impedire la diffusione del video compromettente (lo potete vedere nella hompage di WikiLeaks). Nel tweet i responsabili di WikiLeaks specificavano che «se ci succede qualcosa, saprete perché».
L’ultima trovata di Wikileas è il tentativo di convincere il parlamento islandese a trasformare l’Islanda in un “paradiso” offshore dell’informazione garantendo alle fonti e ai giornalisti solide protezioni legali. La proposta non sembra così assurda oggi che l’Islanda, messa in ginocchio dalla crisi economica, si trova a doversi dare al più presto una nuova identità e nuovi stimoli per ravvivare l’economica. E forse la soluzione potrebbe essere la libertà totale di informazione. E l’Islanda sembrerebbe proprio essere il paese più adatto per diventare portabandiera della trasparenza totale: i cittadini islandesi sono furiosi contro i vecchi poteri che li hanno guidati alla rovina e WikiLeaks vorrebbe cavalcare questo spirito. Se in Islanda dovessero passare le leggi sostenute da WikiLeaks, si riuscirebbe «ad adattare i bisogni della libertà di espressione alla società dell’informazione» e ad assicurare a WikiLeaks il ruolo di potente strumento di aiuto per i giornalisti. «Pensiamo di prendere le leggi a protezione delle fonti dalla Svezia, il Primo Emendamento dagli Stati Uniti e le norme per la protezione dei giornalisti esistenti in Belgio», ha spiegato Daniel Schmitt, portavoce di WikiLeaks al Chaos Communication Congress di Berlino.