Non ci dilungheremo troppo sul fatto che David Foster Wallace sia stato un grande scrittore. Probabilmente se siete arrivati a questa pagina già lo sapete per conto vostro, e del resto non vogliamo certo convincervi del contrario. Forse però quello che non tutti sanno è che il nostro Wallace sudava moltissimo e soprattutto aveva una gran paura di darlo a vedere. Cominciò così a portare una bandana intorno alla fronte nel terrore che durante un reading pubblico le goccioline di sudore cominciassero a precipitare sulle carte che stava leggendo. Lo stesso valeva per le interviste. Ma traspirazione a parte, impressiona davvero come davanti ad un microfono quest’uomo riuscisse ad essere tanto generoso. E siccome la generosità intellettuale e di spirito è una bella cosa e mette di buonumore sapere che un grande scrittore sia anche una grande persona, Medeaonline vi presenta la prima puntata del progetto di traduzione integrale delle interviste di David Foster Wallace, con la volontà di renderle liberamente disponibili ai lettori italiani e a tutti gli amanti della lingua italiana che scorrazzano per il mondo e non hanno né il tempo né la voglia di scovarsele in inglese.
- INTERVISTA A DAVID FOSTER WALLACE, 1998
TAVOLA ROTONDA TRA QUATTRO SCRITTORI [1]
Alexie, Jen, Garcia e Wallace onorano la “Portland Arts and Lectures”
Individuare le tendenze si rivela sempre una scienza inesatta. Ma il caso e l’incontro dei tour promozionali hanno riunito a Portland le voci di quattro giovani e fondamentali autori contemporanei, permettendo alla folla erudita che ha quasi esaurito il Portland Arts and Lectures di dare almeno una sbirciata nella direzione in cui può essere diretto il futuro della narrativa in America.
Sherman Alexie, Gish Jen, Cristina Garcia e David Foster Wallace – incalzati solo dalle sedie scomode, dalla folla rapita e dalle educate spintarelle d’incoraggiamento del moderatore Christopher Zinn – hanno sondato il loro animo e quello degli altri su cosa giace nel cuore del loro essere scrittori. Piuttosto che un esercizio tra moralità contro intrattenimento, o tra “Alta Arte” contro il dibattito sui dati di vendita editoriali (anche se sono state macinate parole sull’argomento), l’ora e mezza di discussione ha permesso a ciascuno scrittore di esaminare come lui o lei siano arrivati alla scrittura – generalmente dalla porta di servizio, attraverso l’isolamento del loro mestiere (“Rimango da solo con l’unica persona”, ha detto David Foster Wallace, “che sia in grado di farmi diventare completamente pazzo”) – di come il loro lavoro potrebbe, vorrebbe o dovrebbe cambiare il mondo e di cosa sarebbe meglio che il lettore sappia prima di cominciare a leggere la prima pagina di un loro libro.
Ecco alcune chicche estratte della discussione:
– Sulla scrittura e su come ci sono arrivati
Sherman Alexie: Dopo aver letto Furore a 6 anni decide di diventare una pediatra, poi un avvocato. “Provai a seguire una scuola di preparazione per studiare legge. Purtroppo indiani e avvocati non hanno mai avuto questo grande passato[2]”. Dopo aver venduto il suo primo libro di poesia, i suoi editori gli chiesero se scrivesse anche narrativa. “Sicuro, risposi, e quindi iniziai a scrivere narrativa. Ma il mio primo amore è la poesia. Con la narrativa è solo un matrimonio d’interesse.”
– Scrivere è la cosa giusta da fare?
“Si, non c’é dubbio. Vado semplicemente nel mio ufficio al piano di sotto. Controllo le notizie sul traffico e al massimo ‘Attento! – c’é della lanugine sul terzo scalino.’ Crescendo, sarei sempre stato a blaterare in un angolo. Adesso la gente mi paga per farlo.”
Gish Jen: Jen, figlia di immigrati cinesi, è rimbalzata contro le scuole preparatorie di medicina ed economia prima di atterrare nella scrittura creativa. “Fu un processo di eliminazione”, e non sempre una scelta popolare viste le radici della sua famiglia. “Mia madre si è sempre comportata come se il fatto che scrivessi fosse un dolore insopportabile.”
David Foster Wallace: “Una domanda come questa mi fa chiedere se l’universo sia una casualità o una cospirazione per farci felici. Quando mi guardo indietro, i passi che ci hanno portato a fare ciò che facciamo non sembrano avere nessun senso.”
Indirizzato verso materie scientifiche, Wallace venne intercettato da un gruppo di lettura al college. “Mi ha acceso. Il mio gesto più temerario è stato quello di iscrivermi ad un corso di scrittura creativa all’università. La prima cosa che spedii venne comprata. Per la prima volta ricevetti un sacco di complimenti.” Qualche volta, dice: “mi domando se sto facendo quello che sto facendo solo perché è la prima cosa per cui ho ricevuto dei complimenti.” Ma, continua Wallace: “E’ un modo libero e gratificante per vivere. Spero solo di ricordarmelo quando rimango da solo in una stanza.”
Cristina Garcia: Garcia, che emigrò da Cuba quand’era bambina, ha ammesso: “Sono entrata dalla porta di servizio. Volevo diventare una diplomatica, ma non ci sono personaggi illustri nel campo della diplomazia a Cuba.” S’innamorò “della cadenza e della musicalità” della scrittura, e attraverso gli studi di giornalismo incappò in un lavoro di copygirl al New York Times. “Qualche volta penso di essere più portata per il giornalismo che per lo sgobbare solitario della narrativa.”
– Sull’isolamento, la solitudine e le distrazioni dello scrivere
Cristina Garcia: “Nei giorni migliori é un isolamento splendido… ma capita solo pochi giorni all’anno. Leggo poesia per un paio d’ore prima di scrivere. Aspetto che le immagini appaiono, o il linguaggio, o degli strani accostamenti.”
Gish Jen: “ Le voci del pubblico e delle famiglie sono veramente forti. E’ difficile scapparne. Non puoi mai essere abbastanza solo… gli scrittori sono le sole persone che pensano che essere incarcerati sia una buona idea.”
David Foster Wallace: “La cosa peggiore dello scrivere – e ci sono anche aspetti belli – è che rimango da solo con la sola persona capace di farmi diventare completamente pazzo.”
Sherman Alexie: “La gente spesso chiede ‘come posso diventare uno scrittore’? Beh, la malattia mentale aiuta. Mi piace leggere e scrivere più di qualsiasi altra cosa.” Per essere scrittore, dice, devi essere estremamente scrupoloso, al limite dell’ossessivo. “Sappi solo che i tuoi amici e la tua famiglia soffriranno a causa delle tue ambizioni.”
– Sugli scrittori
Sherman Alexie: Alexie di solito idolatrava gli scrittori. “Ma adesso sono stata accanto a molti di loro. Nella mia vita non ho mai incontrato della gente più assuefatta alle medicine. E sarebbero queste le persone che dovrebbero raccontarci la verità?!”
– Se il loro lavoro può cambiare il mondo
Sherman Alexie: “Voglio cambiare il mondo. [Ma] siamo artisti in una società capitalistica – non possiamo non preoccuparci di vendere libri – questa è la contraddizione. Vengo da una vita povera. Non posso permettermi di essere solamente un artista.”
Cristina Garcia: “I momenti migliori sono per me stessa… quando tutte le cose si fondono e rimango sola con le mie immagini, le mie allucinazioni.”
In un’intervista, Mario Vargas Llosa una volta disse a Garcia che “con la scrittura tu seduci una persona alla volta.” “Questa è seduzione per me”, dice Garcia, “non è [come] con i mass media.”
David Foster Wallace: “La narrativa può fare quello che nessuna delle altre arti può fare. La narrativa ci permette di saltare con l’asta sopra i muri dell’io… ha qualcosa di socialmente redentore.”
La visibilità di Wallace fa a pugni con la parte del suo cervello che vuole fargli credere che gli scrittori siano “intrattenitori e pubblicitari.”
– Cosa i lettori devono sapere prima di affrontare i loro libri
Cristina Garcia: “Nessuna preparazione. Voglio che il lettore gironzoli, trovi il mio libro in uno scaffale più in basso, incontri qualcosa che attragga i suoi occhi e che li lasci abituare a leggere qualche pagina.”
Sherman Alexie: “Per me è l’esatto opposto… Mi sa che ti porto a cena. I miei libri sono chiassosi.” Tutto quello che hai davvero bisogno di sapere dei suoi libri, dice Alexie, é questo: parlano di “buffi indiani arrabbiati.”
David Foster Wallace: Sul preparare o meno qualcuno a leggere Infinite Jest, Wallace dice: “E’ abbastanza difficile. Lo scopo del libro è quello di indurti a fare un lavoro [attraversando più di 1000 pagine]. Se arrivi a 50 o 100 pagine e il libro non te l’ha fatto fare, allora significa che è diventato un perfetto fermacarte.”
– Sul finale di un libro
Sherman Alexie: Alexie ha ammesso di aver avuto problemi a terminare un libro. “Credo che i libri dovrebbero andare avanti per sempre. I libri vengono abbandonati.” In Reservation Blues “mi sono talmente stufato dei miei personaggi da buttarli giù da una scogliera dentro un furgone blu.”
Cristina Garcia: “Voglio che sia sorprendente e inevitabile.”
Gish Jen: “La fine dovrebbe rappresentare un cambiamento umano, essere una nuova porta, una porta differente.”
David Foster Wallace: Ammettendo di sentire una depressione minore un paio di mesi dopo aver finito un libro, Wallace ha commentato cosa gli ricorda quando qualcuno gli domanda cos’è successo ad un particolare personaggio: “E’ come quando un parente muore, e tu domandi ‘cosa starà facendo adesso?’”
Il motivo dell’umiltà attraversa il quartetto di scrittori in ognuno dei loro successi. Sembrano tutti stupiti che la gente paghi per sentirli parlare.
Fonte: L’intervista in lingua originale é consultabile su: web.archive.org
Traduzione: Jacopo Cozzi
Note:
[2] Molti dei libri di Sherman Alexie hanno come oggetto gli indiani d’America [N.d.T.]
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splendida inizaitiva, spero abbia un seguito, soprattutto ora che si avvicina la triste ricorrenza della morte di DFW