Nel febbraio del 1909, sul quotidiano parigino Le Figaro, viene pubblicato il Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti, programma d’avanguardia improntato all’anticonformismo radicale, al gesto ribelle e dissacratorio, al culto della velocità.
Da questa uscita in poi fu un ininterrotto susseguirsi di Manifesti tecnici in ogni ambito espressivo, dai più ovvi come quelli sulla letteratura, la musica e il teatro, ai più stravaganti come quelli sulla Lussuria (1913) o sulla Cucina futurista (1930). Accanto alla poetica letteraria di “parole in libertà” e “immaginazione senza fili”, in musica si celebra La distruzione della quadratura (18 luglio 1912) e L’Arte dei Rumori (11 marzo1913), manifesti rispettivamente firmati da Francesco Balilla Pratella e Luigi Russolo. Pur non essendo quest’ultimo un compositore di formazione, è a lui che la musica futurista deve le esperienze più significative, nell’intuizione di allargare la sfera timbrica dell’orchestra alla “varietà infinita dei suoni-rumori” e nell’inventare, insieme a Ugo Piatti, appositi strumenti atti a riprodurli, gli Intonarumori.
Prima di Russolo, il compito di rinnovare la musica classica italiana era stato affidato a Pratella, compositore professionista che Marinetti aveva incontrato a Imola lo stesso anno del suo celebre annuncio futurista. Ai primi due contributi teorici sulla musica futurista – Manifesto dei musicisti futuristi (1910) e Manifesto tecnico della musica futurista (1911) – Pratella fa seguire la prima composizione aderente al programma, Musica futurista, in cui tenta di mettere in opera i punti teorici dichiarati: l’enarmonia, la libertà poliritmica, i valori espressivi e dinamici dell’orchestra. Eppure lo spirito dell’insolito e della “rottura” non si manifesta che in scaltre didascalie (Ridendo, Di corsa, Aumenta l’ansia, Cercando uno sfogo) ed incastri bruschi “disposti a casaccio”, nota qualcuno: insomma, «l’uso dei mezzi musicali non si rivela poi così “ardito” come asseriva il musicista, se gli intervalli non risultano veramente inconsueti al loro tempo, e se la novità si affida soprattutto alla scala esatonale» (Salvetti, Martinotti).
La svolta decisiva avviene con gli Intonarumori realizzati da Russolo, pittore della cerchia di Balla, Boccioni, Carrà e Severini, che pure si addentra nel mondo dei suoni poiché sostenuto da una forte intuizione: il “Rumore Musicale”. «Nel diciannovesimo secolo, coll’invenzione delle macchine […] il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini». Convinto della nuova sensibilità auditiva dell’uomo contemporaneo, è proprio assistendo all’esecuzione di Musica futurista che Russolo matura l’esigenza di arricchire l’ascolto con sonorità inaudite. «Bisogna rompere questo cerchio ristretto di suoni puri – sostiene nei riguardi dei timbri orchestrali – e conquistare la varietà infinita dei suoni-rumori». L’uomo dell’età della tecnica ha necessità di rivolgersi «al palpitare delle valvole, all’andirivieni degli stantuffi, agli stridori delle seghe metalliche, ai frastuoni delle ferrovie, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche e delle ferrovie», ecco perché il già udito annoia, e classici come Beethoven e Wagner hanno “squassato i nervi e il cuore”. «Ora ne siamo sazî – afferma radicalmente – e godiamo molto più nel combinare idealmente dei rumori […] che nel riudire, per esempio, l’Eroica o la Pastorale».
Nella ricerca sul rumore Russolo distingue sei famiglie fondamentali, che fanno capo rispettivamente ai rombi, ai fischi, ai bisbigli, agli stridori, ai rumori ottenuti a percussione, alle voci di animali e di uomini, a partire dai quali sviluppa specifici meccanismi di riproduzione sonora. L’11 gennaio 1914 brevetta il primo Intonatore di rumore (n. 146.066), una scatola di dimensione variabile contenente all’interno un ingranaggio specifico a seconda del principio di sollecitazione (per battimenti, sfregamento, pizzico, ecc.), azionato da una manovella esterna; il rumore prodotto è a sua volta amplificato da una tromba anteriore simile a quella dell’antico grammofono. L’orchestra è pronta: non resta che combinare con fantasia la musica del futuro e avviare le spirali di rumori.
Il 21 aprile del 1914 l’orchestra d’avanguardia debutta al Teatro Dal Verme di Milano, inaugurando una nuova stagione nella musica contemporanea. Ventitrè scatole meccaniche – ululatori, rombatori, crepitatori, stropicciatori, scoppiatori, ronzatori, gorgogliatori e sibillatori – riproducono vortici di suoni simulando i rumori dell’ambiente moderno e articolandosi nei tre pezzi rimasti gli unici di Russolo: Risveglio di una città, Si pranza sulla terrazza del Kursaal, Convegno di automobili e aeroplani. Il bizzarro organico lascia di stucco e indigna pesantemente gli orecchi dei “passatisti” al punto da provocare risse di pugni e schiaffi. A detta dello stesso autore, non fu il grosso pubblico a protestare, ma alcuni professori di Conservatorio e musicisti: «che dalle loro poltrone iniziarono il baccano […] Furono però raggiunti dai pugni formidabili e infallibili dei miei amici, Marinetti, Boccioni, Armando Mazza e Piatti, che mentre io continuavo a dirigere l’ultimo pezzo […] piombarono in platea e impegnarono una terribile mischia, che continuò poi anche fuori dal teatro».
Se la “memorabile” serata finisce nella rissa generale, migliore destino attende il repertorio rumorista, prima al Politeama di Genova, poi al Coliseum di Londra per dodici concerti consecutivi dall’incalzante successo. Numerose le tournèe programmate in giro per l’Europa, ma la guerra “fece rimandare tutto”. Anche l’attenzione di Strawinsky, incontrato nella capitale londinese, non si concretizza in collaborazioni di fatto, nonostante l’interesse per i marchingegni d’avanguardia lo spinga, insieme a Diaghilev e Prokof’ev, a frequentare la famosa Casa rosa di Marinetti (1915).
L’utilizzo degli Intonarumori troverà scarsa applicazione all’interno di orchestre classiche al fine di suggestionare sporadicamente con rumori d’effetto, e per i due spettacoli di Depero, Canto degli uccelli e Fuochi d’artificio. Russolo s’impegna: costruisce anche il rumonarmonico, una sorta di tastiera che riunisce più strumenti rumoristici, azionati da pedali e tasti.
Ma la sensibilità dell’epoca non è ancora pronta ad avvertire i risvolti dell’estetica musicale futurista, se non con l’avvento postumo della musique concrète e dell’elettronica: la critica degli anni Trenta farà il resto, osteggiando tutto il movimento e inculcando il dubbio, per qualcuno ancora valido: “esiste una musica futurista?”. Sicuramente allo scarso successo delle composizioni rumoristiche, si oppone lo sviluppo capillare dell’intuizione russoliana, ossia che il rumore possa considerarsi una componente dell’espressione artistica. Questo concetto, pur nell’inconsapevolezza dei risvolti da parte dello stesso inventore, penetra profondamente nella poetica musicale novecentesca dell’esplorazione sonora, da Karlheinz Stockhausen a Edgard Varèse, da John Cage al rap.
Bibliografia
- Stefano Bianchi, La musica futurista. Ricerche e documenti, LIM 1995
- Adriano Bassi, La musica futurista, Le Monnier 1999
- Luigi Russolo, L’Arte dei Rumori, Edizioni Futuriste di Poesia 1916
- Guido Salvetti, La nascita del Novecento, EDT 1991
Fonte
: per gentile concessione dell’autrice, Monica Sanfilippo, e di InStoria, rivista online di storia & informazione (L’arte dei rumori La musica futurista di Luigi Russolo, Instoria, N° 22 – OTTOBRE 2009-LIII)