Quando si scrive d’un regista che si è tanto amato, si rischia di incorrere in penose celebrazioni in cui si giunge a negare anche qualche vistoso difetto, dissimulando nella maniera più evidente. In questo caso però non ho timore, perché scavando nei ricordi dei numerosi film di Mario Monicelli, riesco a rievocare solo glorie e mai cadute.
Ci abbandona un altro punto fermo della nostra cultura, che pare si stia inesorabilmente avviando verso la conclusione. Uno dei tanti della “vecchia scuola” che ci lasciano, senza un saldo timone culturale, ad annaspare in un mare sempre più grosso. Mario Monicelli era di quegli intellettuali presenti, presente ancora di più in virtù della sua grandiosa produzione cinematografica, che è quella che in particolare mi preme ricordare.
Voglio almeno accennare ad una breve carrellata delle sue opere, poiché ogni uomo è fatto di voci che lo formano e modellano, e nel mio caso, ho il coraggio di parlare in prima persona, il cinema di Monicelli è una di quelle voci che più di tante altre hanno contribuito alla mia formazione non solo culturale ma di uomo. D’altro canto, nelle grandi opere d’un artista si cela sempre la sua vera essenza, più che in qualsiasi atteggiamento esteriore dello stesso. Una vita più vera, fatta d’affetti, di idee rese arte, di personaggi divenuti icone.
La commedia all’italiana, quella vera, prima della deriva della nuova comicità che ha perso tutto, si iscrive per buona parte sotto il nome del regista toscano.
Con I soliti ignoti, dove il personaggio comico acquisisce una nuova consapevolezza di sé, quella banda improvvisata di ladruncoli si muove sullo sfondo di una Roma popolare della periferia degradata, mescolando, come solo il maestro Monicelli sapeva fare, l’elemento comico a quello tragico della morte e di un contesto sociale difficile.
E poi, solo un anno più tardi, uno degli apici del cinema di Monicelli, La grande guerra (con Alberto Sordi e Vittorio Gassman); un vero e proprio ritratto pennellato dalle sfumature della comica tragicità della guerra di trincea, in cui l’uomo si riduce ad una misera parte d’un ingranaggio fatale e, riprendo da una scena, muore nella “terra di nessuno” per la consegna d’un messaggio d’augurio.
Cito ancora per recarne testimonianza della bontà, film come Casanova ’70 con Marcello Mastroianni, L’armata Brancaleone con Vittorio Gassman, Vogliamo i colonnelli, Romanzo Popolare e Bertoldo, Bertoldino e…Cacasenno con Ugo Tognazzi, Il marchese del Grillo con Alberto Sordi; e dedico qualche parola in più, lo ammetto, anche per un mio coinvolgimento tutto privato, ad Amici miei, divenuto trilogia, e ad Un borghese piccolo piccolo con Alberto sordi.
Nel primo, tutta la toscanità del regista viene fuori, con quel gusto per la zingarata che ha il solo scopo d’un puro e sano divertimento, condito ancora da quel piacere della parola, che oramai sembra aver perso tutto il suo fascino, che nel film si tramuta nel nonsense della supercazzola (o supercazzora che dir si voglia) messa in atto da un immenso Ugo Tognazzi. Nel secondo, Un borghese piccolo piccolo, l’elemento tragico e drammatico si fa più prepotente, e Monicelli sembra abbandonare, se non in qualche piccolo sprazzo, quella vena comica che da sempre lo aveva caratterizzato. Un film importante quest’ultimo in cui non solo il protagonista, Alberto Sordi, ma anche Monicelli stesso si mette alla prova.
Questo era Mario Monicelli e questa era la commedia all’italiana. Il riso amaro, quello che strattona sempre verso la riflessione anche lo spettatore più indifferente; e non il riso sguaiato, quello di consumo, quello usa e getta che non mette in atto nessun processo formativo ma è destinato a scemare col tempo.
Si dice che la commedia all’italiana sia finita con la scomparsa dei suoi grandi interpreti, ed è vero, ma ora ci lascia anche l’artefice massimo, quello che a vederlo ancora tra noi ci faceva sembrare quella grande stagione cinematografica non troppo lontana, non ancora storia, ma ancora nostra, parte ancora viva e pulsante della nostra cultura.
Ora Monicelli e la sua opera sono pronti per cristallizzarsi nei manuali, nelle lezioni di cinema, nel ricordo ideale di uno dei più grandi registi della nostra tradizione cinematografica.