Le mani di Gaber. Le smorfie, le movenze, gli ammicchi. Quel suo ondeggiare, stupirsi, inebetirsi, per poi di colpo farsi serio, e schernire le debolezze, i tic sociali, i conformismi. Gesti e pose di una figura resa familiare dalla tv e dal teatro, e che oggi riappare in forma di fumetto, in un libro, G&G, che è un lungo omaggio al cantautore milanese (il volume sarà in libreria a metà novembre, ma giovedì prossimo sarà presentato a Lucca, al salone Comics and Games). Milanese è la casa editrice, la ReNoir Comics, milanesi gli autori: Davide Barzi ai testi e Sergio Gerasi ai disegni, supportati dalla Fondazione Giorgio Gaber. La storia si svolge nel gennaio 2003, nei giorni a ridosso della morte di Gaber. Il protagonista è G, un singolare bambino in camicia e cravatta. Un figlio di genitori ricchi, egoisti e indifferenti, che lo descrivono come «un incredibile contapalle»: G racconta di aver conosciuto un altro G, «signore buffo», che all’improvviso gli appare e lo conduce nel suo mondo, lo incanta con i suoi racconti e lo fa riflettere. Mamma e papà, preoccupati, consultano più di un medico, ma la diagnosi è sempre la stessa: il bambino sta benissimo, il gioco, la fantasia, sono una cosa normale.
La prefazione del libro è affidata a Claudio Bisio, che il 14 dicembre sarà sul palco del Piccolo a recitarlo, Gaber, nello spettacolo «Io quella volta lì avevo 25 anni», l’ultimo testo, ancora inedito, composto dal signor G con Sandro Luporini. «Gaber l’ho incontrato poche volte — racconta Bisio — per strada a Milano, via Caetani angolo via Porpora», ma soprattutto da spettatore a teatro, dove, ricorda, le sue provocazioni scatenavano reazioni vivacissime. Il Teatro Canzone che diventa fumetto, un’associazione insolita? «Ma le mani di Gaber ci sono — risponde Bisio —: importanti, presenti, protagoniste, a ricordarne la teatralità, l’italianità, la vitalità». Un fumetto è anche immaginazione, sogno senza confini. «Volevamo evitare la biografia — dice Gerasi — fargli fare cose imprevedibili ». Come condurre un biplano vestito da Barone Rosso, o spiccare il volo intonando «Io, se fossi Dio». Originario del Vigentino, Gerasi è cresciuto a pane e «Porta Romana». «Ma Gaber — osserva Barzi — troppo spesso è etichettato come cantore della milanesità. In realtà trovare un solo tema, un messaggio nella sua opera, è come rendere l’Odissea in venti parole. Noi ci concentriamo sulla scelta del bambino G nel suo confronto con scuola e famiglia: rifiutare la massa per essere se stesso, che non vuol dire isolamento, ma autonomia di pensiero».
Nel fumetto in bianco e nero spicca un solo colore: è quello degli «stivaletti gialli», che Gaber indicava come distintivo di una contestazione che si era fatta moda, nella canzone «Polli di allevamento». Quegli stessi stivaletti di cui alla fine G decide di liberarsi, insieme ai compagni e alla maestra. E il testo di «Non insegnate ai bambini» chiude il fumetto così come l’opera di Gaber, che nella sua ultima canzone ammoniva: «Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente. Stategli sempre vicini, date fiducia all’amore. Il resto è niente».
[fonte: Corriere.it]