La Galleria d’Arte Moderna di Milano (GAM) ospita fino al 31 Gennaio 2010 la mostra dedicata a Emilio Longoni (Barlassina 1859-Milano 1932) in occasione dei 150 anni dalla sua nascita. L’esposizione offre uno spaccato dell’opera di Emilio Longoni, presentando ventitre straordinari dipinti, dalle prime nature morte passando per le figure e per le opere d’impegno sociale, sino ai grandi paesaggi di montagna dell’ultimo ventennio di intensa attività: un percorso d’intensa emozione proposto da Giovanna Ginex, curatrice dell’esposizione.
La rassegna mette innanzi tutto a confronto opere di grandissima qualità del grande maestro lombardo vissuto tra Ottocento e Novecento, otto appartenenti alla stessa GAM e quindici di proprietà della Banca di Credito Cooperativo di Barlassina, cittadina natale dell’artista. Permette poi di ammirare gli otto capolavori di Longoni appartenenti alla GAM, indagati e studiati nella loro essenza materica e restituiti alla loro originaria luminosità, grazie alla generosità della Banca di Barlassina che ne ha sostenuto un sapiente restauro.
Il percorso comincia dalle nature morte che Longoni inizialmente esegue per decorare boiserie o grandi stanze di importanti ville della borghesia milanese, come Villa Torelli a Ghiffa sul Lago Maggiore: variano perciò i formati ma già altissima è la perizia tecnica di Longoni, tanto che committenti importanti come la famiglia degli editori Treves gli commissionano diverse opere. Piccione del 1882, Selvaggina, realizzato per l’Esposizione a Brera del 1883, Cocomeri e poponi e Gamberi e fiaschi, splendidi dipinti eseguiti tra il 1886 e il 1887, sono tutte opere di straordinaria qualità pittorica e di intenso realismo, che indicano inoltre il gusto dell’alta borghesia milanese dell’epoca.
Sino al 1891 Longoni si dedica principalmente alle nature morte, da cui ricava la principale fonte di sostentamento. Ma nel frattempo lavora anche alle figure con opere dove altresì spicca la sua maestria e l’intimo contatto interiore con i suoi soggetti d’elezione: i bambini e le fanciulle. Donnina del 1882-83, dal lucido sguardo intenso che cattura subito l’attenzione, ne è un forte esempio.
Alla prima Triennale di Brera del 1891 Longoni presenta L’oratore dello sciopero, con Segantini che presenta Le due madri. Entrambi i capolavori – riuniti ora in occasione di questa mostra nelle sale della Gam – rappresentano per i due artisti la prima uscita pubblica di opere eseguite a tecnica divisionista. Longoni, infatti, con Giovanni Segantini, Vittore Grubicy De Dragon, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Sottocornola, Giuseppe Mentessi, Angelo Morbelli e Gaetano Previati è esponente di primo piano della prima generazione di pittori divisionisti che prende avvio in Italia alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento.
Longoni affronta inoltre la pittura a pastello, tecnica che si adatta bene alla nuova maniera pittorica, ma è anche molto complessa da eseguire. Ne nascono alcuni capolavori come Ritratto di giovinetta in rosa, dipinto a pastello del 1891-94 dove Longoni esprime un’altissima padronanza della nuova tecnica. In Melanconie del 1895, un olio su tela con la grazia e la maestria tecnica della miniatura, tratteggia con un pennello sottilissimo il volto di una fanciulla triste ed emaciata, di condizioni proletarie, sfinita dal lavoro precoce come modella e ballerina di caffé notturni, la cui pena di vivere traspare dagli occhi arrossati e lucidi. Sino ad arrivare al grande studio per Disillusa del 1914 dove, come avverrà nei paesaggi compiuti, la figura si smaterializza e si fonde con la natura circostante.
Il capolavoro di questo periodo è L’oratore dello sciopero del 1890-91, dipinto per la prima Triennale del 1891 e mai più esposto in pubblico dalla mostra Arte e socialità del 1979 alla Permanente di Milano, di recente acquisito nella collezione della Banca di Credito Cooperativo di Barlassina. Il quadro, che all’epoca fece scalpore sia per la tecnica divisionista che per il soggetto di contenuto dichiaratamente sociale e politico, rappresenta un muratore a pugni chiusi che arringa la folla, mentre le forze dell’ordine, in secondo piano, caricano i manifestanti. Il titolo iniziale dell’opera è Primo Maggio e illustra infatti la prima manifestazione dedicata alla festa del lavoro, organizzata a Milano, benché vietatissima, nel 1890. Vi si riconoscono chiaramente il tiburio della chiesa di San Bernardino alle ossa, accompagnato dal campanile della limitrofa chiesa di Santo Stefano Maggiore.
La grande tela bene esemplifica l’adesione di Longoni al binomio divisionismo-pittura sociale, ma solo in questo dipinto questa equazione è rafforzata dal carattere assolutamente urbano e di cronaca politica del soggetto. Longoni ha con ogni probabilità partecipato alla manifestazione, schizzando questa scena in uno dei suoi taccuini, e l’ha poi riprodotta sulla tela.
Nessuno aveva sino ad allora dipinto dei pugni chiusi, fatto che testimonia il clima storico-politico degli ultimi anni dell’Ottocento a Milano.
Negli ultimi vent’anni il percorso di Longoni si concentra soprattutto sul paesaggio. L’Isola di S. Giulio, del 1895, fu con ogni probabilità il primo grande paesaggio di Longoni eseguito a tecnica divisionista ad essere presentato al pubblico. La chiesa di Barlassina è dedicata a S. Giulio d’Orta, ed il quadro, bellissimo e molto poetico, è dunque un omaggio al santo protettore della sua città natale. L’atmosfera comincia a diventare evanescente, a svaporare: si tratta di una vera e propria ricerca artistica che Longoni prosegue per tutta la vita. Dal paesaggio lacustre si passa alla montagna, fonte di ispirazione per molti artisti dell’epoca. Sono di questi anni la fondazione del CAI Club Alpino Italiano, del Touring Club, e l’ascensione in montagna diventa una salita concreta con tele e pennelli per molti artisti, che, per una sorta di disamore verso la vita caotica della città, in linea con il gusto della borghesia milanese e torinese, si rifugiano in vetta. Dopo i fatti di sangue della violenta repressione dei moti milanesi da parte del generale Bava Beccaris, nel maggio 1898, gli artisti del gruppo socialista o anarchico milanese delusi dagli avvenimenti politici e sociali si volgono ad altro.
Sono di questi anni tele di Longoni come Passo Bernina, Ghiacciaio in ombra, Ghiacciaio in sole, dove nulla è concesso al dettaglio aneddottico: sono quadri materici, senza figure umane né animali, solo la montagna e l’atmosfera che vi si respira. Il divisionismo è ormai assimilato e Longoni lo governa in modo molto personale. Gli interessa la resa della luce. Sale in quota con una capannina di legno portatile per fermarsi e ripararsi sulle cime, realizza in vetta studi precisi che poi completa in studio. La sua cifra è unica e personalissima, asciutta e intensa ad un tempo.
L’indagine sulla luce e le rifrazioni delle atmosfere incontrano l’interesse di Longoni negli anni conclusivi della sua vita. Sperimenta la fusione dei colori sulla tela, ripassati con un ferro caldo. La tavolozza si essenzializza, declinando in tutte le varianti i rosa e gli azzurri. Negli anni tra il 1914 e il 1916 l’atmosfera è sempre più evanescente come nel magnifico Trasparenze alpine, dove è protagonista la nebbia, con la montagna che si riflette nell’acqua del lago glaciale d’alta quota. O Goletta di alta montagna, piccola tela di grande bellezza. O ancora Ultime nevi, dove le stesse montagne sembrano allontanarsi in una visione più rarefatta. Sul retro Longoni, da vero alpinista, disegna l’itinerario seguito per salire in quota.
I paesaggi di Longoni non sono descrizioni di luoghi, ma di atmosfere e stati d’animo. Sono paesaggi interiori, frutto di una precisa ricerca e di una altissima qualità pittorica che l’artista, tra i pochi della sua generazione, manterrà intatta sino alla fine, senza ripetersi, ma trovando in ogni paesaggio uno spunto diverso per creare capolavori senza tempo che riescono ad emozionarci ancora.
Il catalogo dell’esposizione, edito da Skira, che documenta oltre le opere in mostra anche tutte le altre tele di Longoni presenti nella collezione d’arte della Banca di Credito Cooperativo di Barlassina, presenta i testi di Giovanna Ginex, curatrice della mostra, di Maria Fratelli, conservatrice della GAM, sulle collezioni di Longoni e il Museo come luogo della sua fortuna critica, di Gianluca Poldi sulle indagini scientifiche dei dipinti, di Giovanni Rossi sui restauri e di Vivien Greene, curatrice per l’arte europea del XIX e del XX secolo del Guggenheim Museum di New York, per uno sguardo sulla produzione pittorica internazionale nei decenni in cui si avviò e crebbe la carriera artistica di Longoni. Gli apparati in catalogo sono a cura di Tiziana Marchesi.
Fonte: Studio Lucia Crespi