Alessandro Ronchi, 37 anni, lombardo, è regista e sceneggiatore indipendente formatosi alla Civica Scuola di Cinema di Milano, con esperienze televisive alle spalle e una lunga serie di lavori in curriculum che si possono definire solo con l’espressione dura gavetta. Lettera per Valerio, il corto che ha voluto affidare in esclusiva a Medea, è un condensato delle tematiche e dello stile di regia caratteristiche di Ronchi cresciuto molto e maturato con gli anni. In occasione di questa anteprima Alessandro ha accettato di rilasciarci una breve intervista e anche questa è una rarità, di carattere è molto schivo ed è anche modesto, troppo modesto.
Come e perché hai iniziato a fare cinema?
«Devo dire che ho iniziato presto a voler fare cinema. Subito dopo il liceo mi sono iscritto a scuole di cinema e ho iniziato a fare cortometraggi. Una passione che ho avuto fin da bambino, i miei genitori mi portavano ogni settimana al cinema (avevo due anni la prima volta che mi ci hanno portato)».
Ti ho definito “regista indipendente”, ti ritrovi in questa definizione?
«Diciamo che amo molto il cinema indipendente. Ma quello che si considera comunemente come “cinema indipendente”, fatto di autori che ammiro come Noah Baumbach, Steve Buscemi, il primo Gus Van Sant, prevede comunque budget elevati, che io purtroppo non ho a disposizione».
Che genere di storie racconti o vorresti raccontare nei tuoi film?
«Mi piace raccontare le persone e i luoghi, i sentimenti che nascono dall’ambiente in cui viviamo».
Con Milano, la città attorno a cui gravita la tua vita professionale, è amore o odio?
«Amore e odio… entrambi… quando vivi in un luogo, in base a come ti senti e alle cose che vivi, a volte lo ami a volte lo detesti!»
Milano offre occasioni di lavoro a giovani registi come te?
«Sicuramente, essendo una grande metropoli in continuo fermento, offre occasioni, ma, sarò scontato nel dirlo, per fare cinema bisognerebbe andare a Roma».
Fino ad ora hai diretto solo cortometraggi, quali sono, se ci sono, gli ostacoli che ti impediscono di passare ai lungometraggi?
«Il sogno ovviamente è quello di girare un lungometraggio, ma è complicatissimo. Per prima cosa devi avere una sceneggiatura forte che possa permetterti di girarlo senza costi elevati. Ma fare cinema, si sa, costa parecchio. Il problema poi è, una volta realizzato il film, riuscire a distribuirlo. In Italia si fanno molti più film di quelli che poi passano in sala ma nessuno lo sa perché non vengono distribuiti. Senza una distribuzione alle spalle si rischia di buttare via energie e soldi. Comunque sono dell’idea che sia sempre meglio fare che non fare, e se dovessi trovare una sceneggiatura bella e “fattibile” penso che farei di tutto per realizzarla».
Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
«Ci sono molti registi che amo: Polanski, Haneke, Zurlini Malick su tutti».
Santino Preti, il protagonista di “Lettera per Valerio” è quello che si definirebbe il tuo “attore feticcio”, come è cominciata la vostra collaborazione?
«E’ cominciata quindici anni fa. Avevo 22 anni, giravo con una piccola telecamera e niente più ma lui aveva accettato comunque di lavorare al mio corto “Ouvre le chien”, anche se già recitava per produzioni importanti. Da allora abbiamo realizzato altri cinque corti insieme. Oltre che ad un bravissimo attore, è anche una persona formidabile, molto disponibile, sempre pronta ad aiutarti. Un vero e proprio amico!»
Quale sarà il film successivo a “Lettera per Valerio”?
«Chissà, magari un lungometraggio…»