A 17 anni dalla grande rassegna organizzata al Pecci di Prato, il museo MARCA presenta la più esauriente retrospettiva sino ad ora realizzata di Angelo Savelli (1911-1995). Attraverso 70 opere tra dipinti, sculture e ceramiche, la rassegna ha lo scopo di focalizzare l’attenzione su uno dei più significativi protagonisti del dopoguerra, rimasto ingiustamente in ombra per troppo tempo pur avendo rivoluzionato radicalmente il modo di fare pittura con esiti che lo pongono in relazione con Lucio Fontana, Piero Manzoni e Salvatore Scarpitta. Ma anche con gli americani Barnett Newman e Ad Reinhardt. Angelo Savelli. Il Maestro del Bianco, a cura di Alberto Fiz e Luigi Sansone, è aperta sino al 30 marzo 2013.La riscoperta di Savelli
non poteva che partire dalla Calabria che dedica un doveroso omaggio al suo illustre cittadino nato nel 1911 a Pizzo Calabro e che proprio in questa regione ha avuto i suoi primi riconoscimenti con il Premio Mattia Preti ricevuto nel 1935 a cui seguì la partecipazione alla Biennale di Reggio Calabria. Sebbene nel 1954 si fosse trasferito a New York, non dimenticò mai i legami con la sua terra e nel 1991 è stato aperto a Lamezia Terme il Centro Angelo Savelli a lui dedicato.
La mostra presenta l’intero percorso dell’artista partendo dalle prime esperienze figurative degli anni Trenta influenzate da Renato Guttuso, per giungere sino a Where Am I Going una della sue ultime testimonianze risalente al 1993-94. Non mancano riferimenti al periodo romano con opere come Autoritratto e Capriccio n.2, entrambe del 1940, proposte nel 2006 al Museo Pericle Fazzini di Assisi nella mostra Angelo Savelli e Roma curata da Luigi Sansone con un intervento critico di Fabrizio D’Amico. Questo iter di oltre sessant’anni comprende alcune delle sue opere maggiormente emblematiche sia nell’ambito dell’espressionismo astratto (in questo caso viene esposto White Space già presente nel 1957 nello spazio della galleria newyorkese di Leo Castelli), sia in relazione al lungo periodo del “bianco” iniziato nel 1957 con Fire Dance in mostra insieme ad una serie di lavori d’impatto monumentale come Grande orizzontale, 1960, Speranza, 1961 Senza titolo, 1962 o Going up,1980.
Come afferma Wanda Ferro, Presidente della Provincia di Catanzaro con delega alla cultura, “la grande mostra di Savelli non è solo un doveroso omaggio al più celebre artista calabrese del dopoguerra insieme a Mimmo Rotella, ma rappresenta l’occasione per far conoscere alle nuove generazioni il Maestro del Bianco che, attraverso le sue opere, ha saputo esprimere il desiderio di assoluto attraverso uno stile inconfondibile.” La rassegna si avvale di alcuni nuclei particolarmente significativi e può contare sui prestiti della Fondazione Prada e della Fondazione VAF-Stiftung. Non mancano, poi, le opere provenienti dal Mart di Rovereto, dalla GNAM di Roma e dal Museo del Novecento di Milano a cui si aggiungono i prestiti della famiglia Savelli e degli spazi calabresi come il Museo Civico di Taverna e il Centro Angelo Savelli. Proprio dalla GNAM e dal Museo del Novecento provengono due opere cardine della sua ricerca risalenti all’inizio degli anni Sessanta come Consequence (1960) e Shelter 12th Floor (1961), in genere custodite nei depositi, che, grazie alla disponibilità delle due istituzioni, possono finalmente essere mostrate al pubblico.
“La mostra proposta al MARCA è destinata a rappresentare una svolta nell’indagine critica di Savelli, un artista che, nonostante abbia partecipato a cinque edizioni della Biennale di Venezia e sia stato apprezzato dai maestri dell’arte italiana e americana come Lucio Fontana, Piero Dorazio, Barnett Newman e Robert Motherwell, è ben lontano dai riconoscimenti che merita. Questo, probabilmente, è dovuto all’assoluta libertà della sua ricerca, alla sua indipendenza stilistica e al rifiuto di ogni legame di carattere commerciale”, spiega Alberto Fiz direttore artistico del MARCA e curatore dell’evento insieme a Luigi Sansone. Nel 1957, per esempio, rinunciò ad un contratto con la mitica galleria newyorkese di Leo Castelli che, di lì a poco, avrebbe lanciato la pop art di Warhol e di Lichtenstein.
Savelli compie la propria rivoluzione trasformando il bianco in un’inesauribile fonte d’ispirazione dove, come aveva scritto Giulio Carlo Argan, il gesto pittorico ritrova una “prassi di contemplazione” attraverso una rinnovata concezione dello spazio.
“Inizialmente il bianco era legato al soggetto trattato, complementare a questo. In seguito è diventato supporto a se stesso, forza, senza essere legato a null’altro che alla propria energia, ” ha affermato Savelli rivelando il significato della sua ricerca che crea un dialogo particolarmente proficuo e stimolante con i Concetti spaziali di Lucio Fontana, con i dipinti astratti di Barnett Newman o con le tele bendate dell’italo-americano Salvatore Scarpitta. Il rapporto di stima e amicizia con Scarpitta risale al 1945 quando entrambi erano soci dell’Art Club. Nel corso del tempo, poi, hanno esposto insieme in diverse occasioni e nel 1988 Savelli, memore della passione di Scarpitta per le auto da corsa, gli dedicò un piccolo lavoro bianco che ricorda un casco da pilota esposto in mostra.
Anche il rapporto con Fontana inizia alla metà degli anni quaranta quando, entrambi, espongono alla galleria del Naviglio di Milano. Da allora i due artisti hanno avuto contatti frequenti ed è stato proprio Fontana a sostenere Savelli nel 1964 in occasione del suo invito alla Biennale di Venezia quando ha vinto il Gran Premio della Grafica. “Ci sono due forme di spazialità”, ha scritto Savelli. “Quella reale e terrena di Fontana e quella mia che definirei eterica, in grado di comunicare con il subcosciente.”
Dopo essersi soffermata sugli esordi romani e sul passaggio all’espressionismo astratto, la mostra affronta l’universo bianco dove l’artista calabrese interviene sulla superficie modificando i materiali (usa il bianco titanio e prima ancora la sabbia), trasformando i formati delle opere, scomponendo le figure geometriche. Non manca, poi, l’utilizzo di elementi concreti come le corde che fanno la loro apparizione all’inizio degli anni Sessanta per poi riaffiorare nei lavori finali dell’artista, come emerge con chiarezza dall’allestimento della mostra. “Credo queste corde costituiscano il ricordo della mia infanzia quando stavo sempre in riva al mare”, ha ricordato Savelli. “Ma se inconsapevolmente mi sono riferito al ricordo, la mia intenzione nell’inserire le corde nello spazio compositivo è stata quella di accompagnare l’occhio, in ritmo ellittico, dalla base all’alto dell’opera e viceversa. La linea tracciata dalla corda costituisce un accento dello spazio dividendolo e unendolo nello stesso tempo.” Le corde sono protagoniste anche nelle sculture e a dare il titolo ad una delle sue installazioni più famose, Dante’s Inferno (in mostra viene presentato un prototipo) dove quest’elemento è inserito in strutture verticiali, è stato Barnett Newman in visita nel suo studio a New York che ha immediatamente messo in relazione il grande lavoro plastico con il poema dantesco.
Negli anni Ottanta, la ricerca sulla geometria assume un particolare significato e a dimostrarlo sono le opere prive di telaio, con forme trapezoidali, triangolari o romboidali esposte in mostra. Come scrive Luigi Sansone “la geometria assume aspetti poetici e immateriali e le forme sono rese più aeree da un’apertura centrale anch’essa geometrica in cui, al posto della tela asportata, appare un sottile e trasparente velo bianco di nylon che limita anche i contorni. Il ritaglio asportato posto a fianco della tela modificata crea una nuova forma geometrica minore, fluttuante accanto alla grande, a cui resta intimamente legata come una porta aperta verso un’altra dimensione.” È il caso di Going Up, 1980 un grande lavoro che si estende sulla parete per oltre due metri o di Dallas crossroad dove i rettangoli s’incrociano creando imprevisti punti di fuga. In tutte queste circostanze non manca l’evocazione di Kazimir Malevich il pittore suprematista russo che nel 1918 realizzò il Quadrato bianco su fondo bianco, al quale Savelli si sentiva idealmente legato, come dichiara egli stesso in un’intervista:” Ho elaborato forme geometriche irregolari dando continuità al primo quadro bianco realizzato, quello di Malevich.” Sono lavori che in America suscitarono grande ammirazione e nel 1983 è stato un protagonista dell’astrattismo come Robert Motherwell a segnalarlo per conferirgli il prestigioso premio dell’American Academy and Institute of Arts and Letters. Del resto, con gli States Savelli aveva un rapporto ampiamente consolidato e, sin dagli anni sessanta, insegnava, insieme a Piero Dorazio, alla Pennsylvania University di Philadelphia. Ed è proprio Dorazio a ricordare il talento dell’amico: “Savelli, pur non essendo il direttore effettivo, era quello che dirigeva tutte le attività, era quello che aveva più influenza sui ragazzi e dava loro un autentico orientamento. I suoi consigli erano preziosissimi anche perché Savelli era un grande conoscitore della tecnica della pittura e un grande maestro del disegno.”
Per ricostruire la sua vicenda storica e umana, non manca in mostra la sezione Savelli&Friends in cui sono analizzati i rapporti di amicizia e di stima con gli artisti che, in periodi differenti, hanno influito sulla sua opera e tra questi vanno citati Renato Guttuso, Afro, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Salvatore Scarpitta e Mimmo Rotella. A questa sezione hanno collaborato l’Archivio Afro, l’Archivio Dorazio e la Fondazione Mimmo Rotella.
La mostra è accompagnata da un ampio catalogo in italiano e inglese pubblicato da Silvana Editoriale che comprende i saggi di Alberto Fiz, Luigi Sansone, Tonino Sicoli, oltre a testimonianze storiche di Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Piero Dorazio, Renato Guttuso, Vanni Scheiwiller. Non mancano, poi, gli scritti di Angelo Savelli e gli interventi di Giuseppe Appella, Michele Caldarelli, Teodolinda Coltellaro, Fabrizio D’Amico, Flaminio Gualdoni, Marco Meneguzzo, Gianni Schiavon e Antonella Soldaini
- BIOGRAFIA DI ANGELO SAVELLI
La carriera artistica di Angelo Savelli è iniziata alla prima metà degli anni Trenta quando da Pizzo Calabro, si stabilisce a Roma nel 1929, per seguire i corsi alla Scuola Libera di Nudo e iscriversi poi all’Accademia di Belle Arti dove consegue il diploma nel 1936. Dopo un lungo percorso attraverso differenti esperienze pittoriche in Italia e in Francia che vanno dalla Scuola Romana al post-cubismo sino all’astrazione, nel 1954 si trasferisce negli Stati Uniti dove si avvicina all’espressionismo astratto (1954-1957) per approdare nel 1957 al “periodo bianco”, la sua fase più celebre. Da quel momento Savelli elimina dalla tavolozza i colori e il bianco diventa il medium con cui per quasi quattro decenni esprimerà la sua astrazione spirituale. L’artista calabrese diviene un convinto sostenitore dell’arte astratta e nella polemica apertasi nell’immediato dopoguerra tra i promotori del realismo socialista e quelli dell’astrazione e, spinto da un’esigenza di rinnovamento, non può che condividere le idee di questi ultimi. Quando Savelli lascia l’Italia nel 1954 è già un artista affermato, avendo esposto alle mostre organizzate dall’Art Club in Italia e all’estero, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e per ben tre volte alle Biennali di Venezia (1950, 1952, 1954). La sua prima personale a New York risale al 1955 nella sede della galleria The Contemporaries nell’ambito di una mostra che comprende 12 serigrafie e 12 gouaches. Nel 1957 partecipa ad una collettiva presso la Galleria Leo Castelli dove l’anno seguente presenta una sua personale molto apprezzata dalla critica anche se non produce vendite. I “bianchi” vengono presentati per la prima volta nel novembre 1959 alla Tweed Gallery del Department of Art della University of Minnesota, a Duluth e in quello stesso anno è invitato a partecipare con alcuni rilievi bianchi alla Quadriennale d’Arte di Roma. Savelli ha sempre continuato ad esporre anche in Italia in spazi prestigiosi, dal Cavallino, a Venezia, al Naviglio, a Milano e in anni più recenti da Lorenzelli di Milano e da Niccoli di Parma. A New York nei primi anni cinquanta entra in contatto e stringe amicizia con esponenti dell’espressionismo astratto come Herbert Ferber, Barnett Newman, Robert Motherwell, Philip Pavia, Ad Reinhardt, Theodoros Stamos e Clyfford Still e proprio in onore di quest’ultimo organizza nel 1963, insieme a Piero Dorazio una personale all’Institute of Contemporary Art della University of Pennsylvania, a Filadelfia; la scelta di questa sede è dovuta al fatto che già nel 1960 Savelli e Dorazio erano stati invitati dall’University of Pennsylvania a Filadelfia a riorganizzare i programmi e gli studi per il Dipartimento di Belle Arti. La mostra personale al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano nel 1984, in cui espone una serie di opere “bianco su bianco”, segna una svolta nella sua vita artistica. Da allora, infatti, le sue opere vengono esposte in numerose mostre pubbliche in Italia e in America. Tra i numerosi riconoscimenti internazionali vanno ricordati il Gran Premio per la Grafica alla Biennale di Venezia del 1964, in cui presenta una sala di opere a rilievo “bianco su bianco”, e negli Stati Uniti la Guggenheim Fellowship (1979-1980) e nel 1983 il premio dell’American Academy of Arts and Letters di New York assegnato su segnalazione di Robert Motherwell. Nel 1995, tre mesi dopo la sua scomparsa, il museo Pecci di Prato, ha organizzato una sua grande rassegna. Nello stesso periodo la Biennale di Venezia gli aveva dedicato una sala personale. La sua ultima mostra pubblica è stata organizzata nel 2006 dal Museo Pericle Fazzini di Assisi.
Angelo Savelli. Il Maestro del Bianco, Catanzaro, MARCA
a cura di Alberto Fiz e LuigiSansone15 dicembre 2012-30 marzo 2013
Catalogo Silvana EditorialeMARCA
Catanzaro
Via Alessandro Turco 63
da martedì a domenica 9,30-13; 16-20,30;
chiuso lunedì Ingresso: 3 euro; tel. 0961.746797