Ambasciatore dello stile “made in Italy” nel mondo, Sergio Pininfarina si è spento nella notte di martedi 3 luglio a 85 anni. Dopo la scomparsa di questo padre nobile dell’industria automobilistica italiana, c’é da essere pessimisti per il futuro dell’auto made in Italy? Le premesse purtroppo vanno tutte in questa direzione.
Proprio il giorno dopo la scomparsa di Pininfarina, quasi per una strana legge del contrappasso, Sergio Marchionne, l’ad di Fiat-Chrysler ha dichiarato: “Con questo mercato dell’auto, c’è un sito di troppo in Italia”. Davvero uno strano modo di scommettere sulle capacità propositive della propria azienda! Strano modo di imporre la propria legge al mercato, inseguendo pedissequamente quello che il mercato ordina, senza un minimo di fantasia né di gusto del rischio!
I processi di trasformazione del mercato europeo delle auto (come di ogni altra cosa) dovrebbero essere indirizzati dai grandi gruppi industriali sotto la supervisione dello stato di diritto e non certo subiti dall’esterno. E questo proprio per il benessere della propria azienda, per quello del paese in cui l’impresa è nata, e per i clienti europei, che fino a prova contraria dovrebbero (ripetiamo: dovrebbero) essere il primo obbiettivo di una realtà produttiva nata e cresciuta in Europa! Come si puo’ continuare a difendere il “made in Italy” quando di fatto manca la prima parte del marchio: il “made”?
Nel frattempo, altra notizia di questi giorni: l’Iveco, società di Fiat Industrial, nata in Italia e divenuta ormai una multinazionale forte e prosperosa (sebbena sia quasi scomparsa dal Bel Paese), razionalizza la sua presenza in Europa: l’obiettivo è di chiudere entro l’anno 5 stabilimenti con complessivi 1.075 lavoratori. Dopo la chiusura degli stabilimenti di autobus di Avellino e Barcellona, ora sono 5 le fabbriche destinate a cessare la produzione entro l’anno: una in Francia due tedesche e due austriache.
Viene da chiedersi cosa resterà della Fiat e della Fiat Industrial, una delle più grandi realtà industriali al mondo di autoveicoli, camion, furgonati e mezzi agricoli. Desta stupore vedere come, non solo in Italia, ma nel resto d’Europa, venga fatto poco o niente per impedire la progressiva deindustrializzazione del Vecchio Continente, per concentrare tutto sui nuovi mercati emergenti. Il gioco fratricida tra grandi imprese europee sembra privilegiare gli interessi pseudo-nazionali di certe marche (quelle tedesche in primis), favorendo joint-adventures con aziende asiatiche ed americane a scapito di un sano partenariato tra imprese europee con lo scopo (apparentemente logico) di rafforzare la posizione dell’industria dell’Europa nello scacchiere globale. Il rischio è grosso: un’Europa senza industria manifatturiera sarà progressivamente nelle mani di chi potrà produrre (e decidere) per lei.
Cosa succederà quando il know-how tecnico-scientifico sarà definitivamente scomparso dall’Italia e dall’Europa e la disoccupazione dilagante regnerà sovrana, come sembra progressivamente accadere? Come si suol dire, ai posteri l’ardua sentenza. Che strano: non è la stessa cosa che dicevamo anni fa per il debito pubblico dei singoli Stati?