Il 20 febbraio 1909, su Le Figaro, compare il primo manifesto del futurismo, composto da un audace poeta italiano, Tommaso Marinetti. “Noi vogliamo cantare l’amore del pericolo (…), il coraggio, la temerarietà, la ribellione (…), il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”: così si esprime il poeta della nuova poesia, dei tempi nuovi, del futuro prossimo venturo, il poeta futurista, colui che si fa promotore di un radicale e totale rinnovamento della cultura.
Rinnovamento rispetto a che cosa? Rispetto alla millenaria cultura classica italiana, che alla fin de siècle era dominata dalla pedante e ripetitiva interpretazione classicheggiante e francesizzante del modernismo decorativo liberty. Rispetto alla schiera di Accademie della Crusca che dominavano il paese. Rispetto al soffocante clima dell’Italietta giolittiana, burocratica e lontana. I futuristi sono la risposta di una nuova generazione che vuole rompere con quella precedente, integrata e qualunquista. È la risposta di un’avanguardia che, come tale, si pone come azione di rottura: è distruttrice, ma serba in sè grandi forze propositive, voglia di innovazione e alternativa, senza crogiolarsi in logoranti decadenze. Tutto ciò che è modernità, velocità, dinamismo, diviene fondamento per la costruzione di una nuova società, di una nuova forma d’esistenza: “un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo (…) è più bella della Nike di Samotracia”. Cosi dice Marinetti. L”estetica rinascimentale, fondata sull’esempio dell’antico, muore dove nasce: in Italia.
La mostre in corso in questi mesi, organizzate in tutta Italia e all’estero in occasione del centenario del futurismo, ci permettono di comprendere la portata di questo fenomeno culturale dell’inizio del ventesimo secolo, ora che siamo all’inizio di un altro secolo e che, come allora, tutto è in fermento, tutto è pronto a rinnovarsi, seguendo nuovi tragitti, nuovi paradigmi, nuove sfide. Cento anni sono passati: veloci, rapidi, schizofrenici, come se li sarebbero augurati i futuristi. Cento anni in cui quel mondo, quel senso del passato, del sacro, dell’intoccabile, dell’immobilità è definitivamente morto. Oggi, che viviamo in un mondo dove le nuove tecnologie, l’informatica, la rete, le rivoluzioni sociali, culturali e sessuali hanno cancellato tutte le barriere, tutti i tabù. Oggi, che al Louvre si guarda la Nike di Samotracia con un panino imbottito in una mano e l’i-pod nell’altra.
Boccioni, Sironi, Benedetta, Severini, Balla, Russolo, Soffici, Carrà sono solo alcuni dei nomi degli artisti futuristi esposti nelle sale. Pittori, certo, ma più in generale “artisti”, perché per il futurista sono cadute le barriere tra le arti, come tra ogni cosa, a favore di una totalità dell’espressione artistica. La parola stessa diviene spesso solo un segno tipografico per creare una composizione nello spazio, perdendo molto, se non tutto il suo significato abituale: i poeti sono pittori, i pittori poeti. E così, accanto alle tele, compaiono le opere scritte di Palazzeschi, di Marinetti, mai slegate dalla collaborazione con gli altri futuristi, perché la loro azione è univoca, unitaria, è un unico schiaffo composto da tante mani.
E così ogni cosa è pensabile per l’artista futurista, ogni cosa è proponibile, non ci sono unità aristoteliche a proibirlo, verosimiglianze da rispettare: lo dimostrano perfettamente i disegni di Sant’Elia, l’architetto visionario, monumentale, modernissimo, anticipatore di certi elementi costruttivisti e razionalisti. La città è luogo di vita dinamica, di velocità, ma anche di alienazione (per Sironi per esempio): il treno, l’automobile, l’aereo sono i nuovi eroi epici della velocità; perché “è stata la velocità che ci ha dato una nuova nozione dello spazio e del tempo, e per conseguenza della vita stessa” (Severini, 1914). Elementi come la simultaneità divengono l’arma di rappresentazione della realtà, vera, non falsata da miti antichi, una realtà fisica e psichica, simultanea alla pari della relatività e del pensiero freudiano. “La simultaneità è l’esponente lirico della moderna concezione della vita, basata sulla rapidità e contemporaneità di conoscenza e comunicazione” (Boccioni, 1914).
Nelle centinaia di pagine dei manifesti futuristi si rivela tutto lo spirito futurista, sacrilego, blasfemo, violentemente moderno. Vi si legge “Musei: cimiteri!…identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati ed ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colori e linee, lungo pareti contese!”.
Fa un certo effetto uscire da una mostra pensando a queste parole.
Paolo Magri – 1998/2009 (distribuito con Creative Commons)