Vien facile evocare le opere di Euripide e Sofocle
per descrivere ciò che sta accadendo oggi in Grecia: il richiamo alle tragedie scritte dai filosofi ellenici crea un’immagine di forte impatto e realismo. Al di là delle rappresentazioni giornalistiche, la popolazione della culla democratica è davvero sull’orlo del baratro finanziario e sociale, rischiando di trascinare con sé le economie malandate dell’Europa mediterranea e il futuro di un intero progetto politico. Sembra incredibile attribuire alla piccola Grecia la responsabilità del possibile – non ancora probabile – collasso della moneta unica e dell’intera Unione. Eppure gli indizi fin qui seminati di un prossimo effetto domino sono numerosi.
Analisti, opinionisti, politici: nessuno sa con precisione come potrebbe evolversi una situazione complessa come mai se ne erano viste prima. L’economia ha raggiunto livelli di integrazione inediti, i governi delle grandi potenze coordinano stabilmente le proprie strategie, l’Europa ha fatto un passo (alcuni temono troppo in lungo) creando dal nulla un’area valutaria uniforme, unico caso al mondo. Si è giunti ad un punto di non ritorno nell’interdipendenza economica, dunque politica e sociale. E’ chiaro che nessun governo può ormai agire da solo: da ciò deriva il disorientamento degli elettori greci, che hanno punito tutte le formazioni politiche tradizionali, e l’empasse in cui si sono trovati i partiti di fronte alla necessità di formare un esecutivo.
Chi in Grecia avrà il coraggio di diventare il capro espiatorio di decisioni dure, ma sostanzialmente dettate da Bruxelles, Washington e – non meno – dai mercati? Suo malgrado, la Grecia si troverà ad essere laboratorio delle possibili vie d’uscita dalla crisi: sganciamento da un’area valutaria integrata? Ulteriori misure d’austerità? Commissariamento europeo o da parte delle istituzioni finanziarie internazionali? I greci non accettano, comprensibilmente, di essere i soli – o i primi, dipende dai punti di vista – a pagare per una situazione di cui non si ritengono responsabili. Ciò è vero in parte: la gestione del paese faceva acqua da tutte le parti, ma finché è stato possibile, tutti hanno approfittato della corruzione e dello statalismo per il proprio personale tornaconto. La miopia di un tale atteggiamento, ben noto anche altrove (Italia, Spagna, Portogallo) sta nell’incapacità di realizzare come attualmente l’economia sia in realtà indirizzata dall’esterno. Obblighi finanziari esteri, speculazione, concorrenza con le merci cinesi: questi sono i veri gestori dei nostri sistemi economici, non i ministri, non le imprese, non le cosche.
La speranza di molti è che dalle ceneri della fenice – il progetto europeo, ormai compromesso – rinasca una società più uguale, ancorata alle certezze dell’economia reale non globalmente integrata, che rimetta al centro la persona e il lavoro. Il finale della tragedia greca non è ancora stato scritto, tuttavia la distanza tra politica e cittadini non è mai stata così ampia: la prima cerca disperatamente di adeguare i vecchi schemi ad uno scenario imprevisto e fuori controllo; i secondi acquisiscono consapevolezza dei propri diritti e chiedono un cambiamento nelle priorità. Le esistenze di milioni di europei non possono essere svuotate di significato, speranze e futuro perché l’economia globale e la finanza speculativa hanno fagocitato i pilastri della democrazia.